Katherine Pancol, 500 sfumature di Eros

Francesco Greco. Si può amare un’ombra incrociata in un ascensore, un ricordo vago che come ninfea galleggia sul lago insonne della memoria, un odore fuggente che per un istante infinito ha eccitato l’immaginazione? E’ come amare un albero, una montagna, il paesaggio che ci avvolge. Come “ammettere di non essere capace di spiegare il mistero dell’amore, che tutti i progressi della scienza erano impotenti…”.

   Fatale fu una visita nello studio del dottor Boulez. Angelina sale in ascensore con uno sconosciuto. Fatale la sua mano “…che volteggiava da un pulsante all’altro,  maliziosa, leggera, e poi la sua voce forte, profonda… e infine il suo volto squadrato e curioso, le sopracciglia folte, una bocca sensuale, due occhi scuri che guardavano attenti come se stessero leggendo il foglietto illustrativo di un farmaco…”.

   Angelina accenna a una forma di autodifesa, schermaglia inconscia quanto sterile, convinta che “non c’è  niente come la banalità per costringere l’eccezionale a indietreggiare. Parlare del tempo, del clima, della città durante l’estate…”. ”E’ alla vigilia delle nozze con Paul, un amore quieto, scontato. Gli invitati hanno già portato i regali della lista-nozze, il catering è fissato, sindaco e testimoni sono pronti. Ma lo sconosciuto le ha sorriso: “Lei può tutto, ma non lo sa”. Prima di partire per un paese dal nome impossibile lasciandola in deliquio, con la febbre, nel letto, novella malata immaginaria.

   Sorprendente, divina Pancol! Chi più di lei consoce i chiaroscuri dei sentimenti, l’irrazionalità dell’amore, le imprevedibili bizzarrie del cuore che ci trasfigurano a noi stessi? 500 sfumature di Eros, verrebbe da dire. Lo riconferma in “Lentamente fra le tue braccia”, Editore Dalai, Milano 2012, pp. 286, € 18. Un romanzo che è un’ottima idea per gli innamorati di ogni angolo del mondo per San Valentino 2013.

   Si ritrova lo stesso stile asciutto e rapido di “Un ballo ancora” e degli altri suoi romanzi, l’incedere rapsodico che richiama il jazz, ma anche il tono crepuscolare e sensuale dell’esistenzialismo, lei che nata a Casablanca, vive in Francia dall’età di 5 anni e viene dal giornalismo (ha collaborato, dopo aver insegnato Lettere Classiche,  a “Paris Match” e a “Cosmopolitan”).

   Questo romanzo è spiazzante rispetto al XXI secolo e alle sue icone, anzi, i feticci. Nell’epoca del blog, skype e l’I-Phone, gli innamorati comunicano con le lettere cartacee, come sospesi in una dimensione fuori dal tempo: ma ogni amore ha i suoi codici, perché unico. Il signor Despax, portiere del palazzo quasi sempre alticcio a causa di un amore che l’ha segnato, “la malvagia, la criminale, ma anche così bella, tentatrice, che gli faceva la danza del ventre…”,fa da tramite leggendole quelle di Mann (così si chiama il misterioso uomo dalle mani “con della peluria sulla dita aperte”) e scrivendo sotto la dettatura dell’innamorata che non ha la forza di farlo, o comunque deve recitare la parte della malata “priva di forze” per non dover sposare Paul “così buono e gentile”,  perché Mann incalza: “… ho respirato la morbidezza del suo collo…”.

   Altro archetipo destrutturato: l’attesa a cui lei si predispone, mettendosi in gioco, rischiando tutto, in un tempo in cui l’amore si brucia in un attimo: “La vita è anche questo, che tutto possa capitarti in qualunque istante, in qualunque modo, quando meno te lo aspetti… Il resto si chiama sopravvivere…” è la sua filosofia.

   E poi, altro elemento da romanzo ottocentesco, la fuga dell’uomo “per liberarmi di un passato che mi impedirebbe di stare con lei…”. Una sorta di catarsi, di purificazione da un qualcosa che evidentemente ha fretta di formattare e che gli darà un altro se stesso, pronto a ripartire sulla scena della vita, degno del “mistero dell’amore”: indecifrabile, irrazionale, senza password per essere decodificato. Anche se la scrittrice sparge nelle pagine indizi di razionalità: “…si mise in ascolto della vocina dentro di sé che diceva che lei amava Mann perché aveva percepito in lui una forza, una libertà, una sicurezza  che lei non possedeva e che ai suoi occhi contavano più del denaro, della bellezza, della posizione sociale… desiderava soltanto potersi dire un giorno: io sono Angelina, sono fatta così, poter innalzare il ritratto esatto del proprio cuore e della propria anima, tirare dritto per la strada con le sue idee, le sue convinzioni… senza prendere in prestito i giudizi di altri…”.

   E il giorno finalmente arriva: “Si stringono, si baciano, si mordono, si divorano, aderiscono l’uno all’altra, s’insinuano l’uno nell’altra in un abbraccio folle, lanciando verso il cielo un grido di gioia selvaggia…”.