2011, l’Italia (dis)unita e disperata galleggia nel default


Francesco Greco. Nella Belpaese del bunga-bunga, le Olgettine, Ruby e papi, che nei 150 anni della nascita scaccia l’infedele Berlusconi e si affida ai “tecnici” bocconiani di Monti, non immaginando lo tsunami-Grillo, non si riesce a mettere su un gruppo che unisca l’Italia attraverso il ballo erotico, impudico, dionisiaco. Idea devastante, sulfurea, destrutturante sotto l’aspetto filologico: vuol dire che l’Italia ha sprecato un secolo e mezzo passato a far finta di essere retoricamente uniti, in realtà combattendo guerre sorde, e sordide, sottolineate dal razzismo. Sottinteso: Cavour e Garibaldi hanno perso il loro tempo.

   Il povero Uccio da Montesano Salentino ce la mette tutta, come dice lui stesso: bevendo caffè, telefonando e sudando in palestra, cerca i vecchi compagni del militare sparsi qua e là, ma il momento è topico, la crisi morde, lo spread fa i  capricci, il default si profila all’orizzonte di un Paese cristallizzato nella precarietà, pieno di choosy e zomby politici evocati da frammenti di tg che fanno da infida, iconoclasta e grottesca colonna sonora. Così uno, imprenditore, ora fa l’autista ai cinesi che gli hanno comprato l’azienda, un altro la moglie lo vuole lasciare. Nada se la tira: prima fa soffrire Uccio (nella foto mentre piange) e poi accetta di cantare ai suoi spettacoli: “Lei canta e io mi spoglio…”. Ma nessuno la vede.  

   “2011: Italia unita sex symbol”, di Alfredo De Giuseppe (in foto con la videocamera), imprenditore, scrittore, poeta, regista pugliese, è un film aspro, politico, che fissa un momento storico di passaggio, una transizione verso l’ignoto di cui oggi sappiamo sono stati traditi i presupposti essendo tornati, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza più poveri e disillusi del novembre 2011. Una delle tante rivoluzioni fallite di cui è impregnata la storia patria.

   Lo stile asciutto, sicuro, privo di barocchismi, rende l’opera (durata 60 minuti, prodotta da Perlesalento e distribuita da Salento Cinema: è stata appena presentata a Londra presso l’Istituto Italiano di Cultura) ancora più potente nel suo messaggio amaro, un affresco di grande forza dialettica. L’autore regge con mano ferma la storia che racconta e che procede su più livelli: politico, sociale, storico, esistenziale, etico, sociologico. Che si dividono e si intrecciano in un gioco di echi e risonanze scandito da estrapolazioni dai tg in cui i 150 anni sono festeggiati da Bossi con i gestacci “Mai più schiavi di Roma!” e Berlusconi che aggredisce i magistrati facendo la vittima. Quando la politica trascolora nell’horror, come un film Jodorowsky.

   Lo sguardo dell’autore è disincantato e graffiante: come del navigato documentarista, coglie l’essenziale, l’humus profondo, l’anima delle cose e la fissa sullo schermo. Col senso della tragedia imminente dice che questa ormai è l’Italia, meglio rassegnarsi e non aspettare messia, guru, traghettatori. Curioso l’acronimo del titolo: Iuss (quelli che schiavizzano il Sud immerso dai suoi politici cancrenosi in un neo-feudalesimo senza speranza).

   De Giuseppe ci consegna un documento di rara potenza e stile. Gli è riuscita una difficile sinergia: location, facce, parole ben scritte e recitate senza malizia né accademia, con lampi di fatalismo e disperazione che ne moltiplicano la potenza affabulatoria. In certi passaggi ha la forza dirompente del primo Pasolini (“La ricotta”, “Mamma Roma”) con i marginali delle borgate, ma anche la teoria del pedinamento sostenuta da De Sica e Zavattini che diceva agli autori di seguire le loro “prede” e di salire sull’autobus per vedere le facce. Un po’ “nouvelle vague” un po’ neorealismo alla Truffaut e “Ladri di biciclette”, un po’ il cinema sociale che viene da Oltremanica: da “Full Monty” (Peter Cattaneo) alle opere di Frears.

   La faccia di Antonio Bitonti (Uccio) è intensa e drammatica. Rimasto senza padre da piccolo, la madre ogni tanto gli passava qualche soldo (“per pagare le tasse”), ma un giorno si ribella, si sposa e decide di metter su uno spettacolo. Addii a celibati, compleanni, spogliarelli scarseggiano: è la crisi, bellezza! Chiede aiuto al nipote Simone, laureato in Ingegneria, che vive da precario a Torino lavorando al bar dell’Arci e a Border Radio (poi lo assumerà un’azienda olandese, 4mila € al mese). “Qua è una depressione: non si sposa nessuno e le 5-6 fabbriche hanno chiuso…”. Per il suo sogno (“Qualche tv ci chiama e facciamo i soldi”) interpella un avvocato che lo mette in guardia dal non essere troppo esplicito nello spogliarello (“atti osceni, da 3 mesi a 3 anni”), un commercialista, che lo ammoscia con tutti i balzelli che dovrà versare, un comunista sospira: “Oh, Signore!”, il berlusconiano plaude: “Bella inziativa!”, il leghista propone “spogliarelli federali: la gnocca è la gnocca!”.

   Confuso si arrende: “Tutto negativo!”. Andrà a Italia’s Got Talent, con la De Filippi (dea della tv monnezzara, berlusconiana) che ridacchia “Sei fisicato!” e la Geppy Cucciari che minaccia: “Se ci provi ti denuncio”. Oltre a Bitonti recitano Simone Baglivo, Beatrice Rosaria Baldari, Greta Ferruzzi e alcun personaggi in veste di se stessi: Giovanni Crisostomo (avvocato), Marcello Gasco (nordista), Maria Pia Coppola (maestra di danza), Francesco De Francesco (commercialista), Luciano Grimaldi (bodyguard 1), Antonio Nesca (bodyguard 2), Salvatore Coppola (storico), Rocco Margiotta (meridionalista), Marta Cossio (speaker Tg Gallo), Antonio D’Aversa (musicista). Bella fotografia (Diego Silvestri), montaggio (Juan Gambino), musiche originali (Raffaele Vasquez), sottotitoli in inglese (Teresa Alfarano).