Preiti disperato: "Non potevo più mantenere mio figlio"

ROMA - "Non potevo piu' mantenere mio figlio". E' questa la confessione fatta da Luigi Preiti dalla sua cella di Rebibbia, sorvegliato a vista 24 ore su 24 dagli agenti penitenziari, al suo legale Mauro Danielli spiegando così tutta la disperazione per un gesto che nemmeno lui riesce a spiegare. All'avvocato - che lo ha descritto come "depresso", "pentito", spesso "in lacrime" - Preiti ha confessato di soffrire di un forte disagio a causa della mancanza di lavoro, senza peraltro mai accennare a presunti debiti dovuti al vizio del gioco. Una cosa e' certa: il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pm Antonella Nespola, titolari dell'inchiesta, ritengono che abbia agito nel pieno delle sue capacita' mentali e che il suo non sia il gesto di un folle.

Di conseguenza, non ci sara' alcuna perizia psichiatrica nei confronti dell'uomo che ieri mentre il nuovo governo giurava al Quirinale ha fatto fuoco contro due carabinieri. I magistrati, che acquisiranno tutti i filmati delle telecamere nel tragitto compiuto dall'attentatore tra l'albergo nei pressi della stazione Termini, dove aveva trascorso la notte tra sabat e domenica, e Palazzo Chigi, sono convinti anche che il 49enne manovale calabrese non avesse complici.

Per lui - accusato di duplice tentato omicidio, porto e detenzione illegale e uso di arma e munizioni - domani e' in programma l'interrogatorio di garanzia davanti al gip. Nel frattempo, i pm affideranno ai carabinieri del Ris un accertamento tecnico sulla pistola che Preiti ha raccontato, in modo confuso e poco convincente, di aver comprato quattro anni fa al "mercato nero", ad Alessandria: si vuole risalire alla matricola e capire se sia stata usata per commettere altri reati. Intanto, resta in prognosi riservata Giuseppe Giangrande, il piu' grave dei due militari rimasti feriti.