L'orecchino tra storia, curiosità e pericoli

di  Vittorio Polito - Intervenire per modificare il proprio corpo, per renderlo più attraente ed importante, è una delle pratiche più antiche di cui siamo a conoscenza: dalle forme di adornamento permanente, come tatuaggi, scarificazioni, marchi a fuoco e ‘piercing’, alle modifiche corporali estreme come l’allungamento del collo e dei lobi delle orecchie. Il nostro corpo ci appartiene, lo sentiamo, lo usiamo, lo viviamo e possiamo decorarlo e modificarlo quasi completamente, a piacere.

Gli studiosi di anatomia hanno individuato, intorno all’orecchio esterno, nove muscoli che, forse un tempo servivano per la sua mobilità, esattamente come avviene per gli animali, per cui anche per l’uomo era possibile individuare la provenienza di qualsiasi fonte sonora. Non per questo oggi l’uomo, dal punto di vista funzionale, ha un udito inferiore a quello dei suoi antenati.

L’orecchio può essere anche considerato un parametro nella valutazione estetica femminile. Infatti, in alcuni paesi africani, i fori praticati nei lobi accolgono, di anno in anno, orecchini sempre più pesanti. Così facendo, il lobo si allunga e le ragazze misureranno la loro bellezza in rapporto all’estensione dell’orecchio.

L’antropologia insegna che la storia dell’ornamento personale non solo indica il grado di evoluzione di un popolo, ma aiuta a penetrare anche nell’universo sociale e religioso dell’uomo. Il sentirsi «ornati» spesso rispondeva, e risponde ancora, al semplice atto di abbellire alcune parti del corpo con piume, fiori, conchiglie, pietre o metalli, ritenuti in grado di proteggere anche dalla malattia, dalla morte e dal male.

L’archeologia, invece, mostra le differenti espressioni artistiche che si sono succedute nelle varie epoche, e nel caso dell’orecchino, ci fa sapere che rappresentava superstizione, magia, bellezza e potere. Del resto nella storia della gioielleria, l’orecchino è l’unico ornamento attorno al quale ruotano tanti miti, leggende e stravaganze. Infatti, il suo uso sottolinea nel maschio il ruolo di re e nel contempo la figura del pirata, del marinaio, dello zingaro, del poeta, del trasgressivo. I pirati, ad esempio, lo portavano d’oro a scopo «assicurativo», nel senso che se fossero rimasti uccisi lontano da casa, pensavano che il gioiello sarebbe stato sufficiente a garantirgli una dignitosa sepoltura. L’orecchino, nato con l’uomo e con il desiderio di ornarsi, diventa presto simbolo di appartenenza ad una razza, un clan, una civiltà, una classe.

Risale all’età del bronzo l’uso di portare ornamenti alle orecchie. La stessa Genesi (35,4), nel primo libro della Bibbia, li nomina associandoli alla famiglia di Giacobbe, indicandoli come veri e propri talismani. Molto più tardi, con l’ellenismo (323-31 a.C.), gli orecchini dovendo soddisfare una clientela più vasta e meno abbiente, assumono un carattere internazionale e di ampio respiro. Taranto, è una delle città della Magna Grecia, che ci ha lasciato il maggior numero di esempi di questa produzione orafa.

L’orecchino ha anche un suo linguaggio e presso le popolazioni primitive li portano donne, uomini e bambini, ma il prestigio varia a seconda di chi li indossa. In Africa ogni cerimonia ha un orecchino. Nel Mali, ad esempio, prima dell’inizio del matrimonio e per allontanare qualsiasi maldicenza nei confronti della sposa, la madre infila diciotto orecchini nei lobi della figlia. In Kenia il rito della perforazione avviene con la circoncisione, oppure in occasione della cerimonia del passaggio dall’infanzia alla pubertà.  Nell’Islam, invece, gli orecchini d’argento sono preferiti all’oro, in quanto metallo di preciso significato propiziatorio. Dalla Persia alla Turchia e dall’Afghanistan all’Egitto provengono sofisticati esemplari di orecchini smaltati, incastonati e decorati da turchesi, coralli, diamanti, perline e gemme di tutti i colori e dalle più svariate forme tra cui quella più tipica di mezzaluna.

Non va dimenticato che, soprattutto nelle culture indigene e tribali, gli orecchini rappresentano anche un forte simbolo di seduzione e di erotismo. Nelle notti di festa, durante le danze rituali, oscillando e tintinnando al ritmo frenetico dei tamburi, non hanno altra funzione se non quella di provocare il desiderio del maschio. Tuttavia nel corso del XIX e XX secolo l’uomo che sceglie di adornarsi con un ciondolo all’orecchio denuncia spesso inquietudine, un modo di essere insolito, stravagante, bizzarro, un certo distacco e rottura sociale. Bohémiens, nomadi, artisti, omosessuali, pantere nere, hippies, punk, skin heads ed altri innumerevoli personaggi lo usano come valido accessorio alla propria diversità.

Ad eccezione di gruppi a più  basso livello culturale, l’orecchino, che rappresenta l’ornamento comune fra le popolazioni primitive in ogni parte del mondo, è utilizzato nelle tre forme più importanti: del pendaglio, attaccato al lobo perforato, della buccola o anellino, inserito per lo più in serie, nell’elice, e del cilindro o disco, inserito pure nel lobo. Quest’ultima forma, tipica delle culture intermedie, rappresenta quella più vistosa e pesante, al punto da causare una deformazione del  lobo fino a ridurlo come sottile striscia, che qualche volta giunge addirittura a toccare la spalla.

Cantanti, musicisti, attori, politici, calciatori, esibiscono il loro padiglione auricolare ingioiellato, utilizzando l’orecchino non solo come bandiera da portare per difendere il nome del ‘macho latino’, facendo molti proseliti, ma anche come dimostrazione di effeminatezza e di omosessualità, nonostante le critiche decisamente non favorevoli di chi non condivide questa moda Ma questi giudizi non hanno tenuto conto che, anche su un ritratto di Shakespeare, appare sul suo orecchio sinistro un orecchino. Portare un solo orecchino pare fosse legato a superstiziose credenze, come quella che voleva uniti l’uomo e la donna che li portavano, nonostante le circostanze li tenessero lontani.

Ma mentre impazza lo stile tribale dei «nuovi primitivi» che conficcano in tutto il corpo anelli e monili vari, oggi tanto di moda, da più parti giungono allarmi per fermare il dilagare della ‘body art’, ovvero  tatuaggi e ‘piercing’ (sorta di protesi della comunicazione immediata e primitiva), allo scopo di apparire “terribilmente trendy”. L’ultima novità arriva dalla California, il ‘branding’, una sorta di marchiatura a fuoco che provoca ustioni di terzo grado e necessita di medicazioni per almeno 4 settimane. Ma attenzione, vi sono anche delle norme igieniche da rispettare.

La diffusione di queste pratiche ha incoraggiato la nascita di tatuatori clandestini in luoghi non idonei. I rischi che si corrono con tatuaggi e piercing eseguiti con strumenti non sterilizzati sono assai gravi. È recente la notizia secondo la quale una ragazza di 27 anni di Catania, dopo piercing all’orecchio è andata in coma per una epatite fulminante ed ha subito due trapianti di fegato. Il Ministero della Sanità ha emanato le Linee-guida a cui devono attenersi coloro che praticano manipolazioni del corpo. Infatti, la perforazione delle zone maggiormente irrorate dal sangue, come quelle dell’orecchio, del naso, della lingua e dell’ombelico, è ad alto rischio di contagio di epatite B e C, meno per l’AIDS, in quanto il virus responsabile di quest’ultima malattia ha minore capacità di sopravvivere. Anche la Società Italiana di Igiene sollecita misure preventive per la regolamentazione delle tecniche attualmente adottate, considerando che spesso a praticare i fori sono persone con scarse cognizioni igieniche e quindi meno indicate ad assicurare la sterilità dell’operazione.

Per evitare spese, rischi e complicazioni di sorta, è preferibile usare, nella stagione adatta, gli orecchini di ciliegie, così come mostra la foto.


Nella foto una realizzazione dell’orafo barese Felice Caradonna.