IL PRINCIPE AZZURRO / Sangue e luce, il tesoro di San Gennaro e la lotta alle discriminazioni

di Giuliano Gasparotti - La scrivania è piena di giornali, libri, report, statistiche rilegate alla buona. Quante parole, quanti numeri crudi che pesano spesso come macigni quando si parla di discriminazione in Italia. Paura di ciò che è diverso o forse paura di ciò che annida dentro alcuni di noi. Violenze gratuite, a volte letali, per un semplice gesto d'affetto, per quello che si è e per come si è. Quante discussioni, quante polemiche intorno all'omofobia, quanti sforzi di trovare un modo attraverso il quale far emergere il valore della diversità come ricchezza.

Lo strillo dei gabbiani che volano sui tetti richiama l'attenzione nonostante il brulicare di vita, sempre intensissima, che affolla le strade di Roma. A pochi chilometri il mare, a pochi metri l'imponenza del Colosseo che lascia senza fiato, della “macchina da scrivere”, l'altare della Patria, a pochi passi dai Palazzi delle istituzioni dove il “mare è costantemente in tempesta” e nonostante tutto si scrive il destino di un Paese. Intorno una fittissima selva di gioielli, palazzi e chiese meravigliosi, le luci che si specchiano nelle pozze d'acqua di strade fratturate dal tempo. E dalla poca cura. Destinazione Palazzo Sciarra, obiettivo la mostra dei tesori di San Gennaro. Un pezzo di Napoli, anzi il cuore di Napoli per qualche tempo a Roma.

Il legame del Santo con la propria città si esprime nelle più incredibili forme, dai gioielli scintillanti di pietre preziose con diamanti, rubini e smeraldi dalla bellezza impressionante incastonati in collane e nella famosa mitra del maestro Matteo Treglia. Una devozione cementata dal tempo, sin dal 300 d.c. e che ha attraversato le più grandi tragedie di una città dai contrasti violenti eppure perennemente aggrappata alla speranza nonostante le eruzioni del Vesuvio, le pestilenze, le guerre, la povertà.

Riflettere sulla apparente contraddizione tra spiritualità, fede e la magnificenza di quei tesori è d'obbligo. Per chi sente il richiamo della propria terra è facile comprendere la coincidenza tra quello che appare e quello che è. Roma, come Napoli, sono città aperte crocevia di diversità eppure nelle proprie affascinanti contraddizioni sociali, culturali, religiose, sono esattamente quello che si vede ad occhio nudo. In tutta la straordinaria teatralità di queste opere: il sangue di San Gennaro e la luce delle pietre preziose.

Le cose più importanti non si vedono ma si sentono: vale per gli uomini, vale per le città che abitano. Eppure dinanzi al tesoro è difficile fare questa affermazione.  Il pensiero va alla straordinaria tradizione di inclusione e di solidarietà di Napoli, città da sempre abituata ad essere crocevia di diversità. Porto di popoli. Essere sé stessi ed esprimere sé stessi per comunicare quello che si sente, quello che si è. Il segreto, forse, sta proprio nel tesoro che è custodito dentro di noi, che gli altri percepiscono dagli occhi, dai gesti, dalle parole, ma anche dal modo di comportarsi, da ciò che abbiamo addosso.

Finita la visita della mostra lo strillo dei gabbiani assume un significato differente. E' il richiamo dell'altro, di ciò che sta fuori da noi. Almeno per un po', sembra tutto chiaro. E' la luce di quei meravigliosi gioielli il miglior progetto per combattere ogni forma di discriminazione? Sì, perché è l'espressione di quello che sta oltre gli occhi, oltre i gesti, oltre le parole racchiuso nella nostra testa, scorre nelle nostre vene: l'arma più potente per reagire all'ennesima aggressione di due ragazzi che si tengono per mano, all'ennesima violenza di chi ha paura di riconoscere la ricchezza della diversità.  E' quell'idea di forza e bellezza dell'amore che lega le persone e le nostre città.

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