“Acquaterra”, fuoco e aria: “EmianPaganFolk”

di Francesco Greco - Folletti impertinenti rapiti dalla danza, satiri maliziosi riuniti in convivio sotto la luna piena, ninfe monumentali dai lunghissimi capelli e fianchi sottili come giunchi sulla riva del lago scintillante, baccanti ebbre di malvasia tannica infebbrate dal desiderio che sorridono lasciando vagheggiare mille orgasmi. Se “poco si sa, tutto si immagina” (Fellini), le immagini che evocano la musica degli “EmianPaganFolk” (partiti in 3, ora sono 4, come si vede in foto) sono dettate dall’aria, la luce, la forza, l’energia. La vita primordiale come la vissero millenni fa, prima che la “civiltà” imponesse i suoi riti macabri e la sua socialità alienante riducendoci a ectoplasmi solitari incapaci di percepire la bellezza dell’Universo, contaminandosene, saziandosene. Esce, molto atteso, “Acquaterra”, il primo lavoro degli “EmianPaganFolk” (MidiMouse Studio, Avellino/IMRecording Studio, Nocera Inferiore, Salerno), gruppo geograficamente sospeso fra la Campania e la Puglia, e che delle due regioni coglie la solarità, il ritmo, il pathos millenario di infinite etnie, la passione, la vitalità. Catturata in otto brani incalzanti, e quando il cd finisce resti cristallizzato dal silenzio, ne vorresti ancora. Il critico superficiale direbbe: ma sono suoni presi da un’altra tradizione musicale, un ceppo lontano dal Sud che ha influenzato la formazione e la cultura musicale degli “Emian”: quello celtico, irlandese di Alan Stivell e i Pentangle, tanto per citarne un paio (ma tanti altri ce ne sarebbero). Errore. A parte l’osmosi sotterranea fra le culture musicali, trasversale ai continenti e anche al tempo, in questo lavoro commovente gli “Emian” hanno afferrato il cuore antico e l’anima profonda, ancestrale del Sud, che è dionisiaca, bacchica, trasgressiva, incodificabile, conflittuale con ogni status quo, e che impregna il nostro dna, il nostro sangue, magari anche inconsciamente. L’Irlanda, è appena il caso di suggerire, è il Sud dell’Europa continentale. Il mistero svelato, la vita senza più la mestizia e la cupezza cattolica, anime dal salvare e inferni dove è pianto e stridor di denti, restituita alla sua dolce e naturale, panteistica vitalità, come ricerca della bellezza, della gioia, il piacere, la poesia. Come festa dionisiaca, orgiastica, ditirambica (“Miei fantastici amici / sarà sempre una festa / non lavoreremo mai…”, Rimbàud), saturnali senza fine, rapimenti dei sensi oltre i limiti, possedendo la natura e tutta la sua forza e il Cosmo che ci appartiene. Ecco la “filosofia” e la concezione dell’esistenza che batte nel nostro cuore e negli 8 brani del cd. Gli “Emian” hanno solo dato libertà a questi suoni dettati da istinti ancestrali, a pulsioni “pagane” soffocate da disvalori e surrogati dove la cultura corrente ci dirotta per dominarci, neutralizzarci, annientarci, rubarci ogni virilità, della mente e del corpo. Hanno colto gli echi, le illuminazioni, le urla del nostro passato, comuni alla musica nordica (druidi, Stonehenge, pietre magiche, solstizi densi di energia e dintorni), mostrando come ogni frontiera sia inutile per l’uomo che vuole lasciare una traccia nel tempo riconciliandosi con se stesso, gli altri, l’Universo, il Cosmo. “Dance In Circle”, il brano n. 7, ipnotico, tantrico, riassume il senso della ricerca musicale e della provocazione intellettuale, ma anche sociale, ecologica: che la vita torni a fluire nell’acqua (pura, non più infettata dai veleni e dagli egoismi del XXI secolo). Che l’uomo penetri nel cuore del mondo non più accarezzandolo in superficie, che si sazi senza limiti di bellezza, che rubi tutta la sapienza possibile, che si sporchi le mani e l’anima di terra (anch’essa incontaminata, priva di chimica che la offende e la desertifica): solo così forse troverà la pace dentro se stesso, l’armonia, l’energia universale di un cerchio magico infinito che abbraccia popoli distanti, culture diverse, in un neo-umanesimo intriso di universalismo. Il “message in bottle” è impreziosito dalla padronanza degli strumenti come dalla chiarezza della mission che è alla base del lavoro. Gli “Emian” sono: Aianna Egan - Anna Cefalo (arpa irlandese, voce), Emain Druma - Emilio Antonio Cozza (percussioni, violino, flauti, voce), Rohan - Danilo Lupi (basso acustico, bouzouki irlandese, tin whistle, cori), Máirtín Killian – Martino D’Amico (batteria, chitarra acustica, voce). E dunque, che elfi licenziosi, ninfe dalle cosce possenti, baccanti sensuali, ebbre di nettare ci rapiscano nei vortici di danze magiche, facendoci naufragare nell’acquaterra…

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