La Taranta è morta, viva la Taranta!

Di Francesco Greco - Taranta è morta, viva la Taranta! L'edizione numero 17 ha mostrato – ma non ce n'era bisogno – che la formula della Notte della Taranta è ormai datata, logora. Da un lato la riproposizione della tradizione musicale di Terra d'Otranto, sempre quella, e dall'altro gli "ospiti" chiamati a reinterpretarla, con esiti discutibili (Roberto Vecchioni "La tabbaccara" all'ultima edizione, con la solita acustica incerta, quest'anno a tratti spruzzata da una pioggia sottile).
   Cos'è diventata oggi la "Notte" che pure tanto appeal ha, soprattutto all'estero, perché non hanno una cosa simile? A forza di contaminare, è una sorta di Festival di Sanremo laico, con l'occhio ben attento all'audience. Inseguendo lo share. E' un modo, nemmeno il peggiore, di snaturarla, di violentare l'etimo di partenza di 17 anni fa. 
   Cosa potrebbe diventare, rinascendo, come la Fenice, dalle sue stesse ceneri? Un raduno pop dove ogni popolo, ogni etnia, ogni cultura, anche la più distante, porta se stessa, non la mera rimasticazione di una musica di tradizione local, ma gli echi e la ricchezza semantica della propria: le sue infinite sfaccettature e risonanze. Solo così ha un senso, un ruolo, una mission. E soprattutto tornerà a stupire, coinvolgere, emozionare i cuori, folgorare le menti.  
   Ormai da qualche anno è tutto noiosamente uguale a se stesso, riproposto sino alla consunzione, in un rito prevedibile, senza sorprese: si incontrano persino le stesse facce. Gli stessi sballi, la solita trance da canne, vino (non sempre di qualità, anzi). Orgasmi proletari. I soliti vip annoiati dietro la rete ombreggiante, assisi sui divanetti di vimini, perché bisogna esserci, fa trend. Solite crisi da ubriachezza e ambulanze del 118 a sirene spiegate. Soliti fichidindia in piatti di plastica incellofanati. Famigliole col passeggino col bambino addormentato. Le ragazze col vestito della festa e i capelli lucidi ben lavati, col tattoo in evidenza sulla spalla, vecchi figli dei fiori col codino grigio, venditori di tamburelli e ambulanti con i loro vestiti colorati, la casalinga che esce da casa lasciando il ferro da stiro e la lavatrice per accennare un passo della danza dei coltelli (pizzica-spada). Come alla festa del Santo Patrono. Di nuovo solo il selfie praticato a sangue che finisce su Facebook. 
   E' una sorta di messa pagana, un sacco alternativa, ma senza più la carica iconoclasta, tra ulivi secolari insidiati dalla xylella fastidiosa, fichi maturi, rovi gravidi di more e muretti a secco, anima secolare del Mediterraneo: ma ormai così codificata da sembrare, appunto, il Festival di Sanremo celebrato d'inverno, o un Carnevale fuori stagione dove ogni inibizione svanisce e le coppie gay si baciano addossate al muretto. Anche la carica di energia non è più destrutturante, ma innocua, quasi omologata. Al 17mo "Rusciu" la gente sbuffa: "Che p…!".
   Il marketing poi è gestito male: non crediamo alla favola da ufficio-stampa dell'euro investito che ne riporta 8. Magari! Forse è un traguardo da raggiungere. Perfino il Premio Barocco era dato in prima serata su Rai1. La Taranta dovrebbe andare in eurovisione/mondovisione.
   Occorre allora un cambio di passo, uno scatto di reni, una ripartenza, una rimodulazione filologica per i prossimi anni. Che era stata intravista al tempo di Steve Copeland dei "Police". E che stranamente si fermò Magari potrebbe riprendere con un Peter Gabriel, un David Gilmore, un Bono, una Joan Baez, una Dulce Pontes o un Neal Young, al limite un Mimmo Cavallaro visto che Matteo Salvatore non c'è più.
   Non si possono conciliare troppi interessi: identitari, culturali, commerciali. Si smarrisce, o si annacqua, la propria identità: ci si globalizza troppo. Qui finisce che chiamano i neomelodici alla Gigi D'Alessio o Maria Nazionale, alla "finché la barca va". Nel 2015 la Taranta compie 18 anni e diventa maggiorenne. E' ora che decida cosa vuol fare da grande.