Ancora un operaio morto all’ILVA di Taranto. 'L'ennesimo omicidio di Stato'
di Mauro Guitto - Stamattina un operaio di un’azienda dell’appalto è morto in un incidente verificatosi nel reparto Acciaieria 1 proprio nelle immediate vicinanze dove la settimana scorsa si era verificato lo sversamento di ghisa che solo per miracolo non aveva provocato morti e feriti.
Stavolta l’ennesimo morto ci è scappato e viene caldamente da chiedersi chi mai potrà risarcire anche questa famiglia della scomparsa del proprio caro.. chi mai potrà far tornare in vita una persona che era lì soltanto per lavorare.. cosa mai dovrà ancora accadere per FERMARE la produzione di un’azienda che una volta ci si illudeva che portasse lavoro e ricchezza ma che oggi è chiaro a chiunque che provoca morte e malattie all’interno e all’esterno dell’infernale stabilimento.
Allo stesso modo, pur capendo i timori degli operai di restare senza lavoro, non riusciamo a comprendere come mai non riescano a unirsi compatti per fare le barricate chiedendo allo Stato delle soluzioni non tampone (costosi e inutili interventi agli obsoleti impianti) ma serie, efficienti e definitive azioni per continuare a lavorare ma chiudendo il siderurgico che ormai, diciamola tutta, non attira più nemmeno i grandi ricconi dell’estero. Altro che imprenditore multimiliardario indiano Arcelor Mittal, il quale dopo aver conosciuto i debiti da appianare e aver conosciuto la situazione del ferro vecchio dove lavorano migliaia di persone, ha cambiato idea e destinazione. Del resto, pur volendo puntare ancora sulla produzione e commercio dell’acciaio, chi investirebbe mai su un ferro vecchio? Chi si mettere sulle spalle la responsabilità di una intera città (Taranto) asfissiata ormai fino all’inverosimile?
Lo Stato italiano nelle persone che lo rappresentano non vogliono ancora capire che bisogna investire sulla chiusura dello stabilimento, sulle bonifiche (per consentire a tutti i dipendenti, nessuno escluso, di non perdere il proprio lavoro) e di creare in quelle zone delle aree “a tasse zero” per invogliare grandi aziende a investire e rilanciare il territorio ionico insieme al rilancio turistico del porto e della bellissima costa tarantina.
Taranto è dunque costretta a pagare ancora una volta un salatissimo costo: la vita di una persona.
Se nemmeno questa ennesima morte basterà a convincere i dipendenti ILVA (e poi i cittadini) che devono compattarsi per chiedere conto allo Stato, allora nessuno potrà mai aiutare la città a risorgere dalle ceneri dove è sprofondata e dove attualmente ancora purtroppo si trova.
Stavolta l’ennesimo morto ci è scappato e viene caldamente da chiedersi chi mai potrà risarcire anche questa famiglia della scomparsa del proprio caro.. chi mai potrà far tornare in vita una persona che era lì soltanto per lavorare.. cosa mai dovrà ancora accadere per FERMARE la produzione di un’azienda che una volta ci si illudeva che portasse lavoro e ricchezza ma che oggi è chiaro a chiunque che provoca morte e malattie all’interno e all’esterno dell’infernale stabilimento.
Allo stesso modo, pur capendo i timori degli operai di restare senza lavoro, non riusciamo a comprendere come mai non riescano a unirsi compatti per fare le barricate chiedendo allo Stato delle soluzioni non tampone (costosi e inutili interventi agli obsoleti impianti) ma serie, efficienti e definitive azioni per continuare a lavorare ma chiudendo il siderurgico che ormai, diciamola tutta, non attira più nemmeno i grandi ricconi dell’estero. Altro che imprenditore multimiliardario indiano Arcelor Mittal, il quale dopo aver conosciuto i debiti da appianare e aver conosciuto la situazione del ferro vecchio dove lavorano migliaia di persone, ha cambiato idea e destinazione. Del resto, pur volendo puntare ancora sulla produzione e commercio dell’acciaio, chi investirebbe mai su un ferro vecchio? Chi si mettere sulle spalle la responsabilità di una intera città (Taranto) asfissiata ormai fino all’inverosimile?
Lo Stato italiano nelle persone che lo rappresentano non vogliono ancora capire che bisogna investire sulla chiusura dello stabilimento, sulle bonifiche (per consentire a tutti i dipendenti, nessuno escluso, di non perdere il proprio lavoro) e di creare in quelle zone delle aree “a tasse zero” per invogliare grandi aziende a investire e rilanciare il territorio ionico insieme al rilancio turistico del porto e della bellissima costa tarantina.
Taranto è dunque costretta a pagare ancora una volta un salatissimo costo: la vita di una persona.
Se nemmeno questa ennesima morte basterà a convincere i dipendenti ILVA (e poi i cittadini) che devono compattarsi per chiedere conto allo Stato, allora nessuno potrà mai aiutare la città a risorgere dalle ceneri dove è sprofondata e dove attualmente ancora purtroppo si trova.
