Pasquale Cascella (intervista): «Dopo i fatti di via Milano l’interesse del Presidente Napolitano»
di Nicola Ricchitelli – All’orizzonte il traguardo dei due anni di sindacatura, nel mezzo i giorni duri e difficoltosi che l’ex Portavoce del Presidente Giorgio Napolitano, Pasquale Cascella, ha dovuto affrontare dal giorno del suo insediamento a Palazzo di città: «La vita è fatta di alti e bassi, compresi i momenti in cui ci si misura con responsabilità politiche. E quelle di gestire l'Amministrazione a Barletta è una sfida - mai definizione fu più adeguata - particolarmente ardua».
Un cammino che, rivelatosi difficile sin dal primo consiglio comunale, ha toccato il suo punto di massima criticità qualche mese fa con le dimissioni poi ritirate: «Se tutto fosse stato così scontato, non avrebbe avuto senso nemmeno chiedere e arrivare a un chiarimento proprio la' dove, il Consiglio comunale, si esprime la rappresentanza popolare su questioni amministrative particolarmente delicate quali sono quelle legate».
Non si è mancato nell’intervista di ricordare quanto accaduto circa venti giorni fa in via Milano: «Di fronte a tragedie come quella, a breve distanza da quella consumatasi pochi anni prima in via Roma, se pure era doveroso riaffermare le distinzioni tra le due tragiche vicende, non si poteva che avvertire tutta l'inquietudine, se non anche un senso di colpa…»; quindi, non si poteva tralasciare il suo importante rapporto con il Presidente Giorgio Napolitano: «L'ultima volta è stato il Presidente a chiamare: voleva capire cosa fosse accaduto in via Milano, a ulteriore dimostrazione della sua sensibilità sociale».
D: Sindaco Cascella, ancora qualche giorno e toccherà il traguardo dei due anni alla guida della città di Barletta. Diciamocelo, ha vissuto giorni migliori durante la sua vita...
R:«Giorni migliori, certo: anche a Barletta, in altri tempi e condizioni. Ma anche giorni peggiori. La vita è fatta di alti e bassi, compresi i momenti in cui ci si misura con responsabilità politiche. E quelle di gestire l'Amministrazione a Barletta è una sfida - mai definizione fu più adeguata - particolarmente ardua».
D: In questi due anni gli è mai capitato di sentire il suo predecessore? A tal proposito, che Barletta ha lasciato l’amministrazione Maffei?
R:«Ho incontrato Maffei in diverse occasioni, soprattutto quando sono state aperte al pubblico alcune opere pubbliche che erano state promosse dalle Amministrazioni che lui aveva guidato, e mi è sembrato corretto dargliene riconoscimento. Ma altrettanto correttamente abbiamo entrambi evitato raffronti».
D: I punti di rottura nella conduzione della città rispetto al suo predecessore?
R:«C'è una continuità istituzionale che va rispettata, pur nella sua complessità. Sul piano politico inevitabilmente intervengono ragioni di discontinuità, per il diverso segno dei metodi di gestione delle scelte e dei rapporti interni alla coalizione di maggioranza derivanti dalle diverse esperienze politiche, oltre che da quelle personali, professionali, sociali e culturali. Per questo mi si permetta di non formulare giudizi: quelli politici spettano sempre e solo agli elettori».
D: Avrebbe mai immaginato di diventare sindaco della città di Barletta quando, tanti anni fa, partì alla volta di Roma?
R:« Come avrei potuto? Da ragazzo, quando ho lasciato Barletta, non mancavano le ambizioni, ma erano d'altro segno. Ho sempre tenuto a coltivare le radici e, nei limiti del possibile, nelle responsabilità istituzionali e professionali che mi è capitato di assolvere, ho cercato di mantenere e consolidare i legami con la città. L'immaginario della candidatura a sindaco, invece, è scaturito dal casuale intreccio di circostanze: la fine del primo mandato del Presidente Napolitano, con cui collaboravo, e lo scioglimento anticipato del Consiglio comunale di Barletta. Uno scenario, peraltro, ribaltatosi in pochi giorni, con la conferma del mandato del Presidente, ma a quel punto non potevo che rispettare l'impegno intanto assunto con chi aveva creduto nella capacità di rigenerazione politica che il centrosinistra metteva in campo offrendo la mia candidatura. Ed è con questa prova che stiamo provando ancora a misurarci».
D: Come ha vissuto il passaggio dalla redazione di un giornale allo scranno della poltrona di sindaco?
R:«Quella esperienza professionale è sempre stata legata alla politica: l'Unita' era un giornale di partito, e in quella redazione sono stato cronista, poi notista e infine commentatore di politica. Le stesse esperienze compiute nel campo della comunicazione istituzionale sono state legate all'esercizio della rappresentanza politica. Quindi, il "passaggio" è stato per tanti aspetti naturale. Semmai, la difficoltà che obiettivamente avverto è legata a un aspetto particolare del ruolo che un sindaco deve esercitare quotidianamente: essendo il riferimento immediato dei cittadini deve far fronte e misurarsi concretamente con le più diverse e complesse esigenze, fino alle vere e proprie emergenze, che la vita cittadina presenta».
D: Come ha ritrovato Barletta a distanza di tanti anni?
R:«Della propria città d'origine si ha sempre nostalgia, per cui probabilmente sono condizionato dall'immagine della città che mi sono portato appresso per 40 anni: una città in crescita, certo, ma rispettosa del suo patrimonio storico, architettonico e urbanistico. Ogni qual volta mi capitava di tornare a Barletta vedevo una città crescere disordinatamente, inondata dal cemento nella nuova 167 e abbandonata a se stessa nelle aree della espansione povera del Novecento. Il surplus dell'offerta delle nuove costruzioni e la rincorsa alle varianti urbanistiche hanno finito per rendere particolarmente critico il rispetto per una cultura della rigenerazione e della riqualificazione unitaria della città».
D: Come descriverebbe in poche parole gli anni vissuti al fianco del Presidente Giorgio Napolitano? Le capita di risentirlo qualche volta?
R:«È stata una esperienza straordinaria, per la lezione di coerenza, di rigore morale, di visione istituzionale che ha consolidato un'affinità politica di più lunga data nell'area riformista. Per me resta un riferimento costante, e ogni occasione di parlarci, di persona o al telefono, diventa preziosa. L'ultima volta è stato il Presidente a chiamare: voleva capire cosa fosse accaduto in via Milano, a ulteriore dimostrazione della sua sensibilità sociale».
D: Ha creduto davvero nel gesto delle dimissioni presentate qualche settimana fa? Qualcuno maligna che in realtà le stesse dimissioni fossero già ritirate ancor prima di presentarle…
R:«Se tutto fosse stato così scontato, non avrebbe avuto senso nemmeno chiedere e arrivare a un chiarimento proprio la' dove, il Consiglio comunale, si esprime la rappresentanza popolare su questioni amministrative particolarmente delicate quali sono quelle legate alla strumentazione urbanistica, che continuano ad essere fonte di tensione politica a Barletta. So bene che le difficoltà restano e le difficoltà maggiori sono ancora da affrontare. Ma il 13 aprile il Consiglio ha compiuto un atto che da anni non riusciva ad adempiere in tempi adeguati: ha approvato il bilancio di previsione 2015 che, in base alla legge istitutiva dell’elezione diretta, costituisce la verifica primaria del rapporto di fiducia del sindaco con l’assemblea. Di fronte a una prova così rilevante era doveroso revocare le dimissioni e riprendere il cammino, per quanto difficoltoso resti».
D: Eppure qualcuno maligna che dopo le regionali l’amministrazione Cascella cadrà…
R:«Questa domanda contrasta con quel suo precedente richiamo a una delle tante "malignità" con cui si cerca di alimentare l'antipolitica. Sono pienamente consapevole che quello delle regionali è un passaggio cruciale per misurare le volontà politiche anche in relazione alla verifica degli equilibri che ogni consultazione popolare consente. Spero non manchino segnali chiari sulla necessità di affrontare gli ostacoli al cambiamento con assunzioni di responsabilità. Che sono certo personali, e su questo piano credo di aver già dimostrato di non avere esitazioni ad essere conseguente. Ma debbono essere necessariamente condivise per risultare davvero efficaci».
D: Che Barletta spera di lasciare ai barlettani al termine del suo mandato?
R:«Una città più unita nella sua struttura urbana, più consapevole del valore della propria storia, più attenta alle potenzialità del suo patrimonio culturale e naturale, più partecipe sul piano civile, più responsabile nella coesione sociale. Dovremmo riflettere tutti, sempre più, sulla lezione di quelle due iscrizioni scolpite sulla pietra della nostra cattedrale. L'una ci richiama il valore della Disfida del 1503. L'altra ricorda la distruzione della città qualche anno dopo. La vittoria porta il segno di una compagine unita e determinata, la rovina fu dovuta alla discordia tra i cittadini. Oggi che abbiamo da misurarci con la sfida della rinascita rispetto alla mortificazione di un decennio di crisi economica e sociale, dovremmo chiederci se un certo carattere individualistico della cittadinanza non debba cedere il passo a un coinvolgente spirito di comunità».
D: Un'ultima domanda per ricordare quando è successo circa sette giorni fa in via Milano: come ha vissuto questa tragedia?
R:«Di fronte a tragedie come quella, a breve distanza da quella consumatasi pochi anni prima in via Roma, se pure era doveroso riaffermare le distinzioni tra le due tragiche vicende, non si poteva che avvertire tutta l'inquietudine, se non anche un senso di colpa, per quel che forse non è stato fatto e non si fa adeguatamente. Tanto più che in quella via si stava lavorando per servizi pubblici essenziali, gestiti da enti nazionali ugualmente di natura pubblica, ma sulla base di una normativa sugli appalti condizionata dalla ricerca del minor costo. Così come pesante è il costo di una organica mappa dei sottoservizi che corrono nel sottosuolo urbano. È però comprimibile il costo sociale della prevenzione e della sicurezza singola e collettiva? Per questo sentiamo, con la famiglia e i suoi compagni, che Nicola Delvecchio è morto sul lavoro ma non per una fatalità. Spetta alla magistratura, ora, fare il suo corso, assicurare giustizia alla famiglia della vittima, accertando le responsabilità e magari dicendo una parola chiara su come avrebbero dovuto e dovrebbero essere svolti lavori pubblici essenziali come quelli di via Milano. Ai quali la città non può non rinunciare, così come non può rinunciarvi il paese. Ma la storia dell'operaio chiamato sul posto perché esperto nell'affrontare l'allarme per la fuga di gas, e caduto nonostante la sua maestria, rivela che la cultura della sicurezza del lavoro incrocia lo stesso bisogno di sicurezza sociale».
Un cammino che, rivelatosi difficile sin dal primo consiglio comunale, ha toccato il suo punto di massima criticità qualche mese fa con le dimissioni poi ritirate: «Se tutto fosse stato così scontato, non avrebbe avuto senso nemmeno chiedere e arrivare a un chiarimento proprio la' dove, il Consiglio comunale, si esprime la rappresentanza popolare su questioni amministrative particolarmente delicate quali sono quelle legate».
Non si è mancato nell’intervista di ricordare quanto accaduto circa venti giorni fa in via Milano: «Di fronte a tragedie come quella, a breve distanza da quella consumatasi pochi anni prima in via Roma, se pure era doveroso riaffermare le distinzioni tra le due tragiche vicende, non si poteva che avvertire tutta l'inquietudine, se non anche un senso di colpa…»; quindi, non si poteva tralasciare il suo importante rapporto con il Presidente Giorgio Napolitano: «L'ultima volta è stato il Presidente a chiamare: voleva capire cosa fosse accaduto in via Milano, a ulteriore dimostrazione della sua sensibilità sociale».
D: Sindaco Cascella, ancora qualche giorno e toccherà il traguardo dei due anni alla guida della città di Barletta. Diciamocelo, ha vissuto giorni migliori durante la sua vita...
R:«Giorni migliori, certo: anche a Barletta, in altri tempi e condizioni. Ma anche giorni peggiori. La vita è fatta di alti e bassi, compresi i momenti in cui ci si misura con responsabilità politiche. E quelle di gestire l'Amministrazione a Barletta è una sfida - mai definizione fu più adeguata - particolarmente ardua».
D: In questi due anni gli è mai capitato di sentire il suo predecessore? A tal proposito, che Barletta ha lasciato l’amministrazione Maffei?
R:«Ho incontrato Maffei in diverse occasioni, soprattutto quando sono state aperte al pubblico alcune opere pubbliche che erano state promosse dalle Amministrazioni che lui aveva guidato, e mi è sembrato corretto dargliene riconoscimento. Ma altrettanto correttamente abbiamo entrambi evitato raffronti».
D: I punti di rottura nella conduzione della città rispetto al suo predecessore?
R:«C'è una continuità istituzionale che va rispettata, pur nella sua complessità. Sul piano politico inevitabilmente intervengono ragioni di discontinuità, per il diverso segno dei metodi di gestione delle scelte e dei rapporti interni alla coalizione di maggioranza derivanti dalle diverse esperienze politiche, oltre che da quelle personali, professionali, sociali e culturali. Per questo mi si permetta di non formulare giudizi: quelli politici spettano sempre e solo agli elettori».
D: Avrebbe mai immaginato di diventare sindaco della città di Barletta quando, tanti anni fa, partì alla volta di Roma?
R:« Come avrei potuto? Da ragazzo, quando ho lasciato Barletta, non mancavano le ambizioni, ma erano d'altro segno. Ho sempre tenuto a coltivare le radici e, nei limiti del possibile, nelle responsabilità istituzionali e professionali che mi è capitato di assolvere, ho cercato di mantenere e consolidare i legami con la città. L'immaginario della candidatura a sindaco, invece, è scaturito dal casuale intreccio di circostanze: la fine del primo mandato del Presidente Napolitano, con cui collaboravo, e lo scioglimento anticipato del Consiglio comunale di Barletta. Uno scenario, peraltro, ribaltatosi in pochi giorni, con la conferma del mandato del Presidente, ma a quel punto non potevo che rispettare l'impegno intanto assunto con chi aveva creduto nella capacità di rigenerazione politica che il centrosinistra metteva in campo offrendo la mia candidatura. Ed è con questa prova che stiamo provando ancora a misurarci».
D: Come ha vissuto il passaggio dalla redazione di un giornale allo scranno della poltrona di sindaco?
R:«Quella esperienza professionale è sempre stata legata alla politica: l'Unita' era un giornale di partito, e in quella redazione sono stato cronista, poi notista e infine commentatore di politica. Le stesse esperienze compiute nel campo della comunicazione istituzionale sono state legate all'esercizio della rappresentanza politica. Quindi, il "passaggio" è stato per tanti aspetti naturale. Semmai, la difficoltà che obiettivamente avverto è legata a un aspetto particolare del ruolo che un sindaco deve esercitare quotidianamente: essendo il riferimento immediato dei cittadini deve far fronte e misurarsi concretamente con le più diverse e complesse esigenze, fino alle vere e proprie emergenze, che la vita cittadina presenta».
D: Come ha ritrovato Barletta a distanza di tanti anni?
R:«Della propria città d'origine si ha sempre nostalgia, per cui probabilmente sono condizionato dall'immagine della città che mi sono portato appresso per 40 anni: una città in crescita, certo, ma rispettosa del suo patrimonio storico, architettonico e urbanistico. Ogni qual volta mi capitava di tornare a Barletta vedevo una città crescere disordinatamente, inondata dal cemento nella nuova 167 e abbandonata a se stessa nelle aree della espansione povera del Novecento. Il surplus dell'offerta delle nuove costruzioni e la rincorsa alle varianti urbanistiche hanno finito per rendere particolarmente critico il rispetto per una cultura della rigenerazione e della riqualificazione unitaria della città».
D: Come descriverebbe in poche parole gli anni vissuti al fianco del Presidente Giorgio Napolitano? Le capita di risentirlo qualche volta?
R:«È stata una esperienza straordinaria, per la lezione di coerenza, di rigore morale, di visione istituzionale che ha consolidato un'affinità politica di più lunga data nell'area riformista. Per me resta un riferimento costante, e ogni occasione di parlarci, di persona o al telefono, diventa preziosa. L'ultima volta è stato il Presidente a chiamare: voleva capire cosa fosse accaduto in via Milano, a ulteriore dimostrazione della sua sensibilità sociale».
D: Ha creduto davvero nel gesto delle dimissioni presentate qualche settimana fa? Qualcuno maligna che in realtà le stesse dimissioni fossero già ritirate ancor prima di presentarle…
R:«Se tutto fosse stato così scontato, non avrebbe avuto senso nemmeno chiedere e arrivare a un chiarimento proprio la' dove, il Consiglio comunale, si esprime la rappresentanza popolare su questioni amministrative particolarmente delicate quali sono quelle legate alla strumentazione urbanistica, che continuano ad essere fonte di tensione politica a Barletta. So bene che le difficoltà restano e le difficoltà maggiori sono ancora da affrontare. Ma il 13 aprile il Consiglio ha compiuto un atto che da anni non riusciva ad adempiere in tempi adeguati: ha approvato il bilancio di previsione 2015 che, in base alla legge istitutiva dell’elezione diretta, costituisce la verifica primaria del rapporto di fiducia del sindaco con l’assemblea. Di fronte a una prova così rilevante era doveroso revocare le dimissioni e riprendere il cammino, per quanto difficoltoso resti».
D: Eppure qualcuno maligna che dopo le regionali l’amministrazione Cascella cadrà…
R:«Questa domanda contrasta con quel suo precedente richiamo a una delle tante "malignità" con cui si cerca di alimentare l'antipolitica. Sono pienamente consapevole che quello delle regionali è un passaggio cruciale per misurare le volontà politiche anche in relazione alla verifica degli equilibri che ogni consultazione popolare consente. Spero non manchino segnali chiari sulla necessità di affrontare gli ostacoli al cambiamento con assunzioni di responsabilità. Che sono certo personali, e su questo piano credo di aver già dimostrato di non avere esitazioni ad essere conseguente. Ma debbono essere necessariamente condivise per risultare davvero efficaci».
D: Che Barletta spera di lasciare ai barlettani al termine del suo mandato?
R:«Una città più unita nella sua struttura urbana, più consapevole del valore della propria storia, più attenta alle potenzialità del suo patrimonio culturale e naturale, più partecipe sul piano civile, più responsabile nella coesione sociale. Dovremmo riflettere tutti, sempre più, sulla lezione di quelle due iscrizioni scolpite sulla pietra della nostra cattedrale. L'una ci richiama il valore della Disfida del 1503. L'altra ricorda la distruzione della città qualche anno dopo. La vittoria porta il segno di una compagine unita e determinata, la rovina fu dovuta alla discordia tra i cittadini. Oggi che abbiamo da misurarci con la sfida della rinascita rispetto alla mortificazione di un decennio di crisi economica e sociale, dovremmo chiederci se un certo carattere individualistico della cittadinanza non debba cedere il passo a un coinvolgente spirito di comunità».
D: Un'ultima domanda per ricordare quando è successo circa sette giorni fa in via Milano: come ha vissuto questa tragedia?
R:«Di fronte a tragedie come quella, a breve distanza da quella consumatasi pochi anni prima in via Roma, se pure era doveroso riaffermare le distinzioni tra le due tragiche vicende, non si poteva che avvertire tutta l'inquietudine, se non anche un senso di colpa, per quel che forse non è stato fatto e non si fa adeguatamente. Tanto più che in quella via si stava lavorando per servizi pubblici essenziali, gestiti da enti nazionali ugualmente di natura pubblica, ma sulla base di una normativa sugli appalti condizionata dalla ricerca del minor costo. Così come pesante è il costo di una organica mappa dei sottoservizi che corrono nel sottosuolo urbano. È però comprimibile il costo sociale della prevenzione e della sicurezza singola e collettiva? Per questo sentiamo, con la famiglia e i suoi compagni, che Nicola Delvecchio è morto sul lavoro ma non per una fatalità. Spetta alla magistratura, ora, fare il suo corso, assicurare giustizia alla famiglia della vittima, accertando le responsabilità e magari dicendo una parola chiara su come avrebbero dovuto e dovrebbero essere svolti lavori pubblici essenziali come quelli di via Milano. Ai quali la città non può non rinunciare, così come non può rinunciarvi il paese. Ma la storia dell'operaio chiamato sul posto perché esperto nell'affrontare l'allarme per la fuga di gas, e caduto nonostante la sua maestria, rivela che la cultura della sicurezza del lavoro incrocia lo stesso bisogno di sicurezza sociale».

