La notte infinita dell'Italia senza alba



di Francesco Greco -
 Anni 70/80, è il tempo dell'utopia, della febbre rivoluzionaria, escatologica: l'immaginazione sfiora il potere. “Tette al vento”, io sono mia e il privato è politico, ma il riflusso e la conservazione sono in agguato, per la gioia di tutti i tenenti Rando sparsi ovunque, anche nei luoghi più impensati.
Lama è di destra, Autonomia Operaia ha in mano gli atenei, il terrorismo conta migliaia di militanti e di simpatizzanti. Dc e Pci stanno per fare le “convergenze parallele”, pudicamente, quasi con vergogna. E infatti bisognerà aspettare tre decenni perché i due partiti si fondino nell'Ulivo e quattro affinché le larghe intese benedicano il consociativismo, frutto bacato della cultura politica italiettana, e ci porti dentro al default con Renzi e la sua corvèe di statisti autoreferenziali, da cerchio magico.
Il figlio di un deputato comunista, borghese dei Parioli, partigiano, laureato in Lettere, arriva in Toscana come aviere, dove passerà 45 giorni di addestramento. Un periodo che si trasfigurerà in una sorta di iniziazione alla vita, ai sentimenti, al mondo (“dolorosi riti di passaggio”) che da privilegiato non conosce. Si respira un vento nuovo, ma la disillusione (“fuggevole illusione”) sarà, è, amara. Questo vento, purtroppo non è giunto nelle case e nelle scuole del proletariato, incarnato da caporali rozzi e ufficiali arroganti e violenti.
Una storia di naja diventa così un trattato sociologico, antropologico e ovviamente politico dell'Italia di ieri, che svela le dinamiche di quella di oggi, nichilista e precaria, volgare e brutale, manipolata spudoratamente da guru e imbonitori, incantatori di serpenti e addetti al marketing politico che, dato l'assenteismo di metà elettorato il 31 maggio scorso, fa capire che ha esaurito l'orrida ideologia interna di un mondo falso ed elitario, che sta lacerando quel che restava della società italiana, finendo, con un suo surrogato, il “lavoro” cominciato col berlusconismo.
“I giorni prima dell'alba”, terzo romanzo di Andrea Edoardo Visone (Italic, Ancona 2013), pp. 141, euro 15,00, si può leggere in due modi: o privilegiando il plot narrativo di una storia intrigante di caserma (“Non era Auschwitz... ”), norma nell'altro secolo, oppure con la scansione politica, pesando i momenti, il confronto classista, la dialettica materialista e storica che si indovina dietro le ansie dei personaggi collocati dentro un momento storico particolare.
Visone ha una solida formazione culturale, e si intravede nella modulazione psicologica dei personaggi cui dà spessore, nella traccia psicanalitica e freudiana (i sogni del protagonista). Il tutto dentro un canovaccio narrativo che succhia la linfa essenziale al naturalismo francese e al verismo italiano, alla pittura espressionista, al cinema neorealista.
L'io narrante diviene così l'archetipo dei fallimenti delle rivoluzioni tentate dalla Resistenza a oggi. Di tutti i ripiegamenti su cui è fondata la società dello spettacolo, dell'apparenza: dna del berlusconismo ieri e il renzismo oggi. La generazione, spesso “coccolata da mamme iperprotettive”, che le ha fallite tutte perché troppo ripiegata su se stessa, i propri egoismi castali, la vigliaccheria, le rimozioni. Private (Giada, “seno pieno e sodo”, la cantante figlia del maresciallo Panerai, apparsa a Sanremo, lp in arrivo, che ha lasciato Antonio in odor di terrorismo, vuol concedersi sulla spiaggia ma lui ha fretta di tornare in caserma), l'amico Matteo, un po' filosofo, che nega a se stesso la propria omosessualità, è brutalizzato nella notte dei jukebox in caserma, ma lui non riesce a impedirlo. E politiche: la raccomandazione (“ufficio segnalazioni”) con cui si risolve la propria condizione privatamente è sempre dietro l'angolo, come le pessime poesie (“dovrò negare e sconfitto al sogno la vita”). Oggi al governo ci sono gli eredi di quel cinismo irresponsabile e prosaico, “sonno senza sogni” né utopie (il progetto di cinema cui lavorano con Panerai è un misero espediente per imboscarsi).
C'è il nonnismo e il bromuro, Cps e Cps, l'alzabandiera e lo spinotto, il Garand e il MAB, ma è un romanzo dal nucleo politico, una narrazione della storia patria quasi sfuggente e per questo ancora più vivida, una commedia umana dove in controluce si legge la tragedia italiana dal dopoguerra a oggi: il tradimento di un patrimonio di valori con la maiuscola” che ci ha fatti precipitare nel cupo relativismo di una notte infinita senza che si indovini il bagliore di un'alba (“architettura dell'impossibile”) che pure era, è, cercata.

1 Commenti

  1. Incantatori di serpernti e marketing politico non possono essere messi sullo stesso piano.

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