Ciao Giuseppe, artista e uomo nell’Olimpo

 di FRANCESCO GRECO. MONTESANO SALENTINO (Le) - Più grande come artista o come uomo? Un bel dilemma, un nodo gordiano che nemmeno Alessandro Magno spezzerebbe. Si può dire che in ogni casa del Salento c'è una sua opera: un dipinto, una scultura enorme, un caminetto in pietra leccese, ecc..

Se n'è andato all'improvviso, in una notte di quasi primavera, nello nuovo studio sulla SS 275: quello vecchio, annesso alla casa, è vicino al semaforo di Montesano Salentino (circa 15 km. prima di S. Maria Leuca), col cortile colmo di statue gigantesche. E se un giorno si decidesse una ricognizione della sua opera, non ci sarebbe spazio sufficiente a ospitarla.

Proprio sere fa, nel salotto di un amico medico, mentre guardavamo le partite, l'occhio è caduto su un quadro: “Ti piace? Me l'ha regalato Giuseppe – ha detto l'endocrinologo – come omaggio per i due camini che mi ha realizzato”. Caminetti che sono delle vere e proprie opere d'arte.
Giuseppe era fatto così: modesto, istintivo, generoso, imprevedibile. Come la brutta malattia che l'ha sorpreso, spegnendo il suo sorriso dolce – dopo un anno e mezzo di cure - a soli 56 anni (era nato l'1 gennaio 1960).

Eravamo amici, ci sentivamo, anche via mail, ogni tanto. “Come stai?”, chiedevo. “Mi difendo alla grande...”, era sempre la sua risposta. Mi parlava delle mostre “passate e future” e mi sfidava: “Sono curioso di leggere quello che scriverai...”.

Quando il 16 giugno 2012 lo premiarono a Parigi (l'Hotel Intercontinental, lussuosissimo, a due passi dal Louvre) scrissi qualcosa (“la sua estetica rimanda alla bellezza classica, tra Fidia e Constantin Brancusi”) e ogni volta che ci si vedeva mi ringraziava. Ragazzo d'altri tempi.
Di quell'evento mi aveva dato una gallery di foto. Era felicissimo. Aveva realizzato molte fontane (bellissima quella di piazza Sant'Antonio, a Borgagne, vicino Otranto: tre rane, la leggenda vuole che accarezzare loro il didietro porta fortuna, ma a lui non è successo) e in ville private.

Si era sposato giovanissimo e siccome carmina non dant panem nemmeno nella pittura e scultura, specie al Sud, riversò il suo genio anche in opere come camini e fontane: tutte hanno l'afflato dell'artista. Era orgoglioso del Cristo ricavato da un tronco d'ulivo regalato a Giovanni Paolo II, cui aveva fatto un ritratto) e di altre donate ad alcuni ospedali (fra cui il “Vito Fazzi” di Lecce).

Aveva frequentato l'Isef di Foggia e poi insegnato Educazione Fisica qualche anno. Nonostante la famiglia, e la cultura (format “Quo Vado”), lasciò il posto fisso spinto dal desiderio di dedicarsi solo all'arte: non erano conciliabili. Studiò l'arte greca e poi i grandi del Rinascimento.

Dall'89 cominciò a proporsi, in Italia (Firenze, Teramo, Ferrara, Padova, Piacenza, nel 2014 alla prestigiosa Galleria Margutta di Roma) e all'estero (Germania, Svizzera, Sudafrica, Hong Kong, ecc.): unanime il plauso di critica e pubblico, entusiasti. A Parigi, l'Associazione “Arts-Sciences-Lettres” (oltre 4000 iscritti) lo premiò come “migliore scultore italiano vivente”, con la Laurea Honoris Causa in Arte e la medaglia d'argento. Un premio meritato per chi da una vita doma il marmo e la pietra leccese, il gesso e il legno, il bronzo, l'acciaio e la pietra viva.

Ciao Giuseppe! La crudeltà della vita virale e superficiale che ci siamo dati, purtroppo non lascia il tempo di approfondire le vere amicizie. Ci annusiamo e basta. Abbiamo sempre da fare, spesso stupidaggini. Di questo mi dolgo, ma sono convinto che prima o poi ci ritroveremo nell'Eden dove, “caro agli dèi”, sei andato a stare giovane giovane e dove, da formica laboriosa come quelle di Fiore, se è vero che ognuno continua a fare quel che sa fare, incapace di fermarti, fra Canova e Michelangelo, starai già lavorando di martello e scalpello a una delle tue monumentali opere. Dando forma e bellezza a un tronco d'ulivo di quelli ricavati dalla rimonda: questa è la stagione.