di FRANCESCO GRECO — Doveva moralizzare la cosa pubblica, doveva. Mani pulite invece è stata un fallimento: a corruzione siamo secondi, sui 28 dell'Ue. Qualche toga è entrata in Parlamento, ha fondato house (partiti), poi finiti nella polvere: la legge del contrappasso non risparmia nessuno (“Ebbrezza da protagonismo no”, F. S. Borrelli, “Giornale”, 7 aprile 1993).
Occorre scavare nel dna, l'antropologia, o l'alchimia per spiegare la rivoluzione all'italiana, come il calcio, il matrimonio, il divorzio. “Golpe” con “finalità politiche”? Borrelli nega: “frutto di una distorsione culturale”. Da allora, una domanda è sospesa: perché la casta non ne uscì col decreto Conso-Amato-Scalfaro (5 marzo 1993, “bieco istinto di autodifesa”, Rodotà) prima (ad “affondare” Conso “i giudici milanesi”, G. Piazzesi, Scalfaro imbeccato “dall'ambasciata americana”?, si chiese Ripa di Meana) e quello acconciato dal guardasigilli Biondi poi (13 luglio 1994)? Ci aveva provato pure Martelli ma la rovina del Psi lo affascinava di più.
L'homo italicus è sciocco, meschino, piccino, vendicativo: vogliamo che cada la testa altrui, ma se la piazza chiede la nostra inturgidiamo valori, arruffiamo garantismi, sproloquiamo gargarismi. Basso provincialismo che ci priva di statisti e ci consegna a furbetti, incantatori di serpenti, cialtroni da talk show (Palazzo Venezia), cloni di Guido Angeli e Vanna Marchi.
Selling Italy by the pound (S-vendendo l'Italia per un penny). Parafrasando i mitici Genesis, si può decifrare la sciarada, quel che accadde nel Belpaese negli anni Novanta del XX secolo.
Per la Storia Mani pulite, per Montanelli “anni di fango”, di cui solo gli ingenui e i fintitonti si sorpresero. Agnelli, per dire, se la cavò da par suo e sfidò tutti: ammise le tangenti della Fiat.
Il contesto: il sistema-paese allo sbando (premier Amato, Eta Beta, salasso da 93mila miliardi, lira svalutata per 30mila miliardi), fu deprezzato e svenduto allo straniero, “saccheggio dell'economia nazionale” (USA e GB in stand-by, poi la Svizzera: il pasto nudo delle multinazionali). L'input il 2 giugno 1992 sullo yacht di Sua Maestà “Britannia” (God save the Queen)?
Voluttà di servire di Occhetto strapaese (“Non ho mai visto né conosciuto Greganti... quelli erano gli anni di Tien An Men...”: “il più grande bugiardo d'Italia”, Craxi”) si portò avanti col lavoro: rassicurò i poteri forti sull'affidabilità del picaresco schieramento che guidava. La “gioiosa macchina da guerra” era ai box: sarebbe andata a sbattere.
Sul “Corriere” Massimo Gaggi spuntò i commensali. Lobby straniere in sinergia coi magliari italici (“un centinaio di manager pubblici e banchieri”) per l'opa, servi per dna più che per necessità, intelligence “col nemico” (i giornali reggevano il moccolo: Piero Sansonetti ne cita 4: la sintonia mediatico-giudiziaria, lo sberleffo di G. Colombo: “In Italia... c'è troppa carta, ma di informazione ne circola pochissima...”).
Forse il pool fu eterodiretto, l'esecutore (escavatore) dei “rastrellamenti”, la manu militari del “grande viaggio” (Di Pietro), “hanno mandato avanti Di Pietro perché è bravo davanti alle tv” (N. Y. Times, 5 marzo 1993), per la “rivoluzione legale e saggia”, Giulio Catelani) che aprì le porte alle falangi macedoni?
“Era tutto scritto” (La Malfa). All'italiana (do ut des), con astuzia levantina, la popolarità fu usata per qualche prima alla Scala. Qualcuno si suicidò: non volle fare il delatore: usciva chi faceva i nomi grossi (“alimentare l'ingranaggio”). Titti Parenti l'eretica fu scacciata dall'Eden (“non allineata con la procura”, “Dovrebbero farle una perizia psichiatrica”, D'Ambrosio). Tragedia greca (Sofocle vs Euripide).
Sociologicamente prevalsero due tipologie: i garantisti, per i quali l'impeto “rivoluzionario” , escatologico, piallò lo stato di diritto (forse pure la giurisprudenza: se la responsabilità è personale, perché due “avvisi” a Craxi per i soldi presi da Querci, Radaelli e Zaffra?); le tricotèuse accoccolate ai piedi di Madame de Gouillotine, a incitare il boia per inoltrarsi leggeri leggeri sulla via della virtù, le magnifiche sorti e progressive (“Voglio vedere Craxi consumare il rancio nelle patrie galere”, Rutelli). Altro garantista convertito alla forca: Pecoraro Scanio.
A parlare di Mani pulite (e conti in CH, Lussemburgo, Austria) si finisce coll'essere moralisti, triviali. Fra le infinite password e letture dello storytelling, centrale il teorema ”non poteva non sapere” (buono per i sommersi, vulnus dei salvati) con cui si sarebbe potuto incriminare pure Cesare. Se ne fece uso sistemico, militante: “Stiamo processando un regime prima della sua caduta”, Davigo, “bisogno di pulizia che viene dalla gente”, D'Alema: il popolo dei fax.
1993 annus horribilis: doppia, tripla morale, ipocrisia come collante (monetine, 29 aprile). C'è l'Italia tutta in quell'anno: passata, presente, futura. Non si faceva in tempo a trovare un moralista sbarcato da Marte e lo si beccava col sorcio in bocca. D'Alema zittì Bettino “principe dei corrotti”, salì sulla colonna dello stilita a dar patenti urbi et orbi, auspicò la palingenesi (“epurazione del ceto politico”). Sortì Francesco Cavallari, barese, re delle cliniche private e lo scaraventò nella polvere ricordandogli un caffè da 20 milioni (prescritti) del 1985, brevi manu, per spesucce elettorali, e per tener buona la Cgil, che infatti cessò di far caciara alle CCR. Poi cambiò idea: con Greganti e Stefanini in manette, Tangentopoli era una “violentissima campagna politica”.
De Benedetti si dichiarò puro (“L'Olivetti non ha partecipato”, la corruzione “vero cancro dell'Italia”, a “Le Soir”). Lo arrestarono nell'ottobre 1993 e ammise di aver pagato, ma all'italiana, col “voltastomaco” (anche Romiti, Fiat) e sempre col “voltastomaco” venduto “catorci” alle Poste. Guanti bianchi per Bernabè (maxitangente Enimont).
Bistrattato (domenica 4 luglio 1993) dal rude contadino molisano (cervello fino: senatore al Mugello, sponsor il divo Max), che a brutto muso lo accusava dei soldi Iri alla Dc, Prodi salì al Colle a piangere dalla mamma (Scalfaro fresco di “non ci sto”: se “non era rivolta a nessun magistrato”, a chi?). “Lui non aveva bisogno di essere innocente, era della sinistra Dc”, (Franco Nobili). Con questo cv Prodi divenne premier.
Col senno di poi, Craxi fu un ingenuo quando in Parlamento, 3 luglio 1992, si esibì in una chiamata di correo un pò luterana: invitò i puri a mostrare le facce, li scoprì silenti come il sepolcro imbiancato del Vangelo secondo Pantalone. I corsivi sull'Avanti! (G.d.T., azione eversiva delle inchieste... rovesciamento delle istituzioni) forse “spaventavano” Di Pietro ma gli giocarono contro. E tuttavia in tv contro fece la sua figura, infatti non lo vollero più: troppi rischi, bucava il video (come le bave di Forlani). Eco si disse contro lo show: “...ripreso per televisione mi dichiarerei prigioniero politico”. Prodi premier, Craxi morì esule.
I bizantini poi scoprirono che i furbi rubavano per il partito e la rivoluzione proletaria (dispone al perdono, 3 pater ave gloria), i fessi per la corrente, i dannati per se stessi. Sul “Giornale” Montanelli disse che Craxi (“un ostacolo che deve essere tolto di mezzo...”) e Andreotti erano i “capri espiatori” della “carneficina”. Prevalsero basic istint (“il carattere feroce degli italiani”, Ferrara), la storia patria un romanzo criminale (“Si vede che c'è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide”, D'Ambrosio, “Corriere”, 4 settembre 1992). Puro Eschilo.
“Novantatré” (L'anno del Terrore di Mani Pulite), di Mattia Feltri, prefazione di Giuliano Ferrara, collana “Nodi”, pp. 316, euro 17.50, ricostruisce, ora ch'è tutto prescritto, alla coreana, lo snodo epocale facendoci entrare nella macchina del tempo: un format intrigante: si sa già come va a finire il “feuilleton ottocentesco” (Ferrara). Nel paese dei Broccoletti dove i verbali d'interrogatorio svolazzano dalle finestre delle Procure ai desk (“C'è chi viene a sapere del proprio destino seguendo i Tg”), Greganti butta a donne & champagne (“alle Folies Bergères”) una rata della maxi-tangente Enimont (621 milioni della “Gabbietta”, Di Pietro li ha inseguiti sin sulla soglia di Botteghe Oscure, dove sono svaniti, puff!: poteva bussare...) suscitando l'invidia di D'Ambrosio e l'ironia di Lama. Poi disse che aveva preso casa, un monolocale da proletari. Chicchi Pacini Battaglia, lo “sbancato”, intercettato: “Si è pagato per uscire da Mani pulite...” e a Milano “Dc, Psi, Pds... taglieggiavano ogni attività umana” (G. Turani, “Corriere”, 21 dicembre 1992). Cupa voluttà da Mishima.
A un certo punto s'incontra lo “speculatore”, il dc Raffaele Tiscar, in un'interrogazione, così chiama George Soros. Corsi e ricorsi, pare che il figlio sia pappa e ciccia con Renzi: e come al gioco dell'oca torni alla prima casella. E alla domanda: perché i politici preferirono cannibalizzarsi? Negli USA ognuno dà soldi a chi gli pare. Il solipsismo della nostra cultura invece vuole la rovina dell'altro, per cui la ghigliottina deve essere sempre pronta a mozzare le teste, ma se si avvicina alla nostra c'è il complotto, il grande vecchio, manine (D'Alema vs Chiodi vs “Il Sabato”?) e manone. Lo vuole l'etica cattolica: diluire la propria sporcizia nel mare magnum della relatività. L'altra, quella laica, invece, chiama ognuno alle proprie responsabilità. Ma, si sa, è estranea al dna italico, e perciò ci si defila come comparse, spettri, ombre borgesiane.
Occorre scavare nel dna, l'antropologia, o l'alchimia per spiegare la rivoluzione all'italiana, come il calcio, il matrimonio, il divorzio. “Golpe” con “finalità politiche”? Borrelli nega: “frutto di una distorsione culturale”. Da allora, una domanda è sospesa: perché la casta non ne uscì col decreto Conso-Amato-Scalfaro (5 marzo 1993, “bieco istinto di autodifesa”, Rodotà) prima (ad “affondare” Conso “i giudici milanesi”, G. Piazzesi, Scalfaro imbeccato “dall'ambasciata americana”?, si chiese Ripa di Meana) e quello acconciato dal guardasigilli Biondi poi (13 luglio 1994)? Ci aveva provato pure Martelli ma la rovina del Psi lo affascinava di più.
L'homo italicus è sciocco, meschino, piccino, vendicativo: vogliamo che cada la testa altrui, ma se la piazza chiede la nostra inturgidiamo valori, arruffiamo garantismi, sproloquiamo gargarismi. Basso provincialismo che ci priva di statisti e ci consegna a furbetti, incantatori di serpenti, cialtroni da talk show (Palazzo Venezia), cloni di Guido Angeli e Vanna Marchi.
Selling Italy by the pound (S-vendendo l'Italia per un penny). Parafrasando i mitici Genesis, si può decifrare la sciarada, quel che accadde nel Belpaese negli anni Novanta del XX secolo.
Per la Storia Mani pulite, per Montanelli “anni di fango”, di cui solo gli ingenui e i fintitonti si sorpresero. Agnelli, per dire, se la cavò da par suo e sfidò tutti: ammise le tangenti della Fiat.
Il contesto: il sistema-paese allo sbando (premier Amato, Eta Beta, salasso da 93mila miliardi, lira svalutata per 30mila miliardi), fu deprezzato e svenduto allo straniero, “saccheggio dell'economia nazionale” (USA e GB in stand-by, poi la Svizzera: il pasto nudo delle multinazionali). L'input il 2 giugno 1992 sullo yacht di Sua Maestà “Britannia” (God save the Queen)?
Voluttà di servire di Occhetto strapaese (“Non ho mai visto né conosciuto Greganti... quelli erano gli anni di Tien An Men...”: “il più grande bugiardo d'Italia”, Craxi”) si portò avanti col lavoro: rassicurò i poteri forti sull'affidabilità del picaresco schieramento che guidava. La “gioiosa macchina da guerra” era ai box: sarebbe andata a sbattere.
Sul “Corriere” Massimo Gaggi spuntò i commensali. Lobby straniere in sinergia coi magliari italici (“un centinaio di manager pubblici e banchieri”) per l'opa, servi per dna più che per necessità, intelligence “col nemico” (i giornali reggevano il moccolo: Piero Sansonetti ne cita 4: la sintonia mediatico-giudiziaria, lo sberleffo di G. Colombo: “In Italia... c'è troppa carta, ma di informazione ne circola pochissima...”).
Forse il pool fu eterodiretto, l'esecutore (escavatore) dei “rastrellamenti”, la manu militari del “grande viaggio” (Di Pietro), “hanno mandato avanti Di Pietro perché è bravo davanti alle tv” (N. Y. Times, 5 marzo 1993), per la “rivoluzione legale e saggia”, Giulio Catelani) che aprì le porte alle falangi macedoni?
“Era tutto scritto” (La Malfa). All'italiana (do ut des), con astuzia levantina, la popolarità fu usata per qualche prima alla Scala. Qualcuno si suicidò: non volle fare il delatore: usciva chi faceva i nomi grossi (“alimentare l'ingranaggio”). Titti Parenti l'eretica fu scacciata dall'Eden (“non allineata con la procura”, “Dovrebbero farle una perizia psichiatrica”, D'Ambrosio). Tragedia greca (Sofocle vs Euripide).
Sociologicamente prevalsero due tipologie: i garantisti, per i quali l'impeto “rivoluzionario” , escatologico, piallò lo stato di diritto (forse pure la giurisprudenza: se la responsabilità è personale, perché due “avvisi” a Craxi per i soldi presi da Querci, Radaelli e Zaffra?); le tricotèuse accoccolate ai piedi di Madame de Gouillotine, a incitare il boia per inoltrarsi leggeri leggeri sulla via della virtù, le magnifiche sorti e progressive (“Voglio vedere Craxi consumare il rancio nelle patrie galere”, Rutelli). Altro garantista convertito alla forca: Pecoraro Scanio.
A parlare di Mani pulite (e conti in CH, Lussemburgo, Austria) si finisce coll'essere moralisti, triviali. Fra le infinite password e letture dello storytelling, centrale il teorema ”non poteva non sapere” (buono per i sommersi, vulnus dei salvati) con cui si sarebbe potuto incriminare pure Cesare. Se ne fece uso sistemico, militante: “Stiamo processando un regime prima della sua caduta”, Davigo, “bisogno di pulizia che viene dalla gente”, D'Alema: il popolo dei fax.
1993 annus horribilis: doppia, tripla morale, ipocrisia come collante (monetine, 29 aprile). C'è l'Italia tutta in quell'anno: passata, presente, futura. Non si faceva in tempo a trovare un moralista sbarcato da Marte e lo si beccava col sorcio in bocca. D'Alema zittì Bettino “principe dei corrotti”, salì sulla colonna dello stilita a dar patenti urbi et orbi, auspicò la palingenesi (“epurazione del ceto politico”). Sortì Francesco Cavallari, barese, re delle cliniche private e lo scaraventò nella polvere ricordandogli un caffè da 20 milioni (prescritti) del 1985, brevi manu, per spesucce elettorali, e per tener buona la Cgil, che infatti cessò di far caciara alle CCR. Poi cambiò idea: con Greganti e Stefanini in manette, Tangentopoli era una “violentissima campagna politica”.
De Benedetti si dichiarò puro (“L'Olivetti non ha partecipato”, la corruzione “vero cancro dell'Italia”, a “Le Soir”). Lo arrestarono nell'ottobre 1993 e ammise di aver pagato, ma all'italiana, col “voltastomaco” (anche Romiti, Fiat) e sempre col “voltastomaco” venduto “catorci” alle Poste. Guanti bianchi per Bernabè (maxitangente Enimont).
Bistrattato (domenica 4 luglio 1993) dal rude contadino molisano (cervello fino: senatore al Mugello, sponsor il divo Max), che a brutto muso lo accusava dei soldi Iri alla Dc, Prodi salì al Colle a piangere dalla mamma (Scalfaro fresco di “non ci sto”: se “non era rivolta a nessun magistrato”, a chi?). “Lui non aveva bisogno di essere innocente, era della sinistra Dc”, (Franco Nobili). Con questo cv Prodi divenne premier.
Col senno di poi, Craxi fu un ingenuo quando in Parlamento, 3 luglio 1992, si esibì in una chiamata di correo un pò luterana: invitò i puri a mostrare le facce, li scoprì silenti come il sepolcro imbiancato del Vangelo secondo Pantalone. I corsivi sull'Avanti! (G.d.T., azione eversiva delle inchieste... rovesciamento delle istituzioni) forse “spaventavano” Di Pietro ma gli giocarono contro. E tuttavia in tv contro fece la sua figura, infatti non lo vollero più: troppi rischi, bucava il video (come le bave di Forlani). Eco si disse contro lo show: “...ripreso per televisione mi dichiarerei prigioniero politico”. Prodi premier, Craxi morì esule.
I bizantini poi scoprirono che i furbi rubavano per il partito e la rivoluzione proletaria (dispone al perdono, 3 pater ave gloria), i fessi per la corrente, i dannati per se stessi. Sul “Giornale” Montanelli disse che Craxi (“un ostacolo che deve essere tolto di mezzo...”) e Andreotti erano i “capri espiatori” della “carneficina”. Prevalsero basic istint (“il carattere feroce degli italiani”, Ferrara), la storia patria un romanzo criminale (“Si vede che c'è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide”, D'Ambrosio, “Corriere”, 4 settembre 1992). Puro Eschilo.
“Novantatré” (L'anno del Terrore di Mani Pulite), di Mattia Feltri, prefazione di Giuliano Ferrara, collana “Nodi”, pp. 316, euro 17.50, ricostruisce, ora ch'è tutto prescritto, alla coreana, lo snodo epocale facendoci entrare nella macchina del tempo: un format intrigante: si sa già come va a finire il “feuilleton ottocentesco” (Ferrara). Nel paese dei Broccoletti dove i verbali d'interrogatorio svolazzano dalle finestre delle Procure ai desk (“C'è chi viene a sapere del proprio destino seguendo i Tg”), Greganti butta a donne & champagne (“alle Folies Bergères”) una rata della maxi-tangente Enimont (621 milioni della “Gabbietta”, Di Pietro li ha inseguiti sin sulla soglia di Botteghe Oscure, dove sono svaniti, puff!: poteva bussare...) suscitando l'invidia di D'Ambrosio e l'ironia di Lama. Poi disse che aveva preso casa, un monolocale da proletari. Chicchi Pacini Battaglia, lo “sbancato”, intercettato: “Si è pagato per uscire da Mani pulite...” e a Milano “Dc, Psi, Pds... taglieggiavano ogni attività umana” (G. Turani, “Corriere”, 21 dicembre 1992). Cupa voluttà da Mishima.
A un certo punto s'incontra lo “speculatore”, il dc Raffaele Tiscar, in un'interrogazione, così chiama George Soros. Corsi e ricorsi, pare che il figlio sia pappa e ciccia con Renzi: e come al gioco dell'oca torni alla prima casella. E alla domanda: perché i politici preferirono cannibalizzarsi? Negli USA ognuno dà soldi a chi gli pare. Il solipsismo della nostra cultura invece vuole la rovina dell'altro, per cui la ghigliottina deve essere sempre pronta a mozzare le teste, ma se si avvicina alla nostra c'è il complotto, il grande vecchio, manine (D'Alema vs Chiodi vs “Il Sabato”?) e manone. Lo vuole l'etica cattolica: diluire la propria sporcizia nel mare magnum della relatività. L'altra, quella laica, invece, chiama ognuno alle proprie responsabilità. Ma, si sa, è estranea al dna italico, e perciò ci si defila come comparse, spettri, ombre borgesiane.