“Pummarò”, qualche idea per la dignità del lavoro (e nostra)
di FRANCESCO GRECO — La stagione della raccolta dei pomodori è cominciata con l'arresto di tre “caporali” in Capitanata. Gli attori sulla scena sono sempre quelli, recitano il ruolo cui sono abituati: i lavoratori, quasi sempre extracomunitari (ma anche di casa nostra: ricordate gli anni scorsi quante madri di famiglia uccise dal sole fra i filari dei tendoni a fare l'acinino?). I sindacalisti parolai, i “caporali” famelici, i politici ansiosi di visibilità che mandano comunicati-stampa pregni di furore, le istituzioni a promettere interventi normativi (che restano sulla carta), i ghetti che il caldo rende dei lager o dei gulag, gironi infernali. E non mancheranno i soliti scoop di reportage sempre uguali tesi a far leva sui sentimenti della gente.
Fra poco cominceremo a leggere le storie di sfruttamento disumano, i caporali che li presidiano come volgari kapò o vopos, le giornate di lavoro interminabili sotto il sole feroce di 40 e passa gradi, la giornata di pochi euro su cui poi alcuni fanno la cresta per un bicchiere d'acqua o un misero giaciglio.
Sempre le stessa pantomima ormai da decenni. Tant'è che le cronache dei giornali o delle tv (magari arriva anche Giletti a corto di finti ciechi e furbetti del cartellino) si potrebbero riproporre cambiando la data.
Uno dei limiti della nostra cultura cattolica e idealista è il lamento, l'umanitarismo peloso, il pietismo sudicio che poi lascia immutato lo status quo. E' un po', alla lontana, quello che Sciascia definì, con un'immagine terribile, “i professionisti dell'antimafia”: si piange e si strepita quando il regista batte il ciak, e poi via l'abito di scena e tutti a casa che passa l'ultimo autobus e c'è la partita dell'Italia.
Ci vuole, al contrario, un approccio razionale, positivista, mettendo giù qualche idea per dare una volta per tutte dignità ai lavoratori stranieri e italiani (le donne che salgono su una corriera sgangherata alle 3 di notte) dei campi e anche alla terra che li ospita e che ha bisogno del loro lavoro così come la Svizzera di “pala, picu e cariola” dei nostri padri.
“E tu, come faresti?”, suggeriva di chiedere Whilelm Reich a chi si fa bello con le parole, illuminandosi d'immenso. Ecco allora qualche piccola idea.
Perché il sindacato, invece di cadere dalle nuvole, come se vivesse su Marte e non sapesse ciò che avviene sotto i suoi occhi, non si inventa un fondo di garanzia per integrare le paghe giornaliere dei raccoglitori di pomodori, angurie, uva e quant'altro? Un euro per ogni iscritto ed è fatta. Meno di un caffè. E' troppo?
E perché i Comuni dove si fa la raccolta non ospitano i lavoratori nelle case abbandonate dei loro centri storici?
Ma anche la chiesa di Francesco, così rivoluzionaria, che mal sopporta il lusso di qualche prelato (“il pastore deve avere addosso l'odore delle sue pecore”, “il sudario non ha tasche”) potrebbe darsi una mossa in senso militante, come fa con successo nel III mondo.
Per esempio, usare una percentuale dell'8x1000 in soccorso della “giornata” dei nostri fratelli contadini improvvisati. Barboni e tossici, prostitute e sfigati va bene, ma anche “Pummarò” chiede pane e cittadinanza, diritti e dignità. Come è scritto nelle "Carte" di tutte le democrazie.
Fra poco cominceremo a leggere le storie di sfruttamento disumano, i caporali che li presidiano come volgari kapò o vopos, le giornate di lavoro interminabili sotto il sole feroce di 40 e passa gradi, la giornata di pochi euro su cui poi alcuni fanno la cresta per un bicchiere d'acqua o un misero giaciglio.
Sempre le stessa pantomima ormai da decenni. Tant'è che le cronache dei giornali o delle tv (magari arriva anche Giletti a corto di finti ciechi e furbetti del cartellino) si potrebbero riproporre cambiando la data.
Uno dei limiti della nostra cultura cattolica e idealista è il lamento, l'umanitarismo peloso, il pietismo sudicio che poi lascia immutato lo status quo. E' un po', alla lontana, quello che Sciascia definì, con un'immagine terribile, “i professionisti dell'antimafia”: si piange e si strepita quando il regista batte il ciak, e poi via l'abito di scena e tutti a casa che passa l'ultimo autobus e c'è la partita dell'Italia.
Ci vuole, al contrario, un approccio razionale, positivista, mettendo giù qualche idea per dare una volta per tutte dignità ai lavoratori stranieri e italiani (le donne che salgono su una corriera sgangherata alle 3 di notte) dei campi e anche alla terra che li ospita e che ha bisogno del loro lavoro così come la Svizzera di “pala, picu e cariola” dei nostri padri.
“E tu, come faresti?”, suggeriva di chiedere Whilelm Reich a chi si fa bello con le parole, illuminandosi d'immenso. Ecco allora qualche piccola idea.
Perché il sindacato, invece di cadere dalle nuvole, come se vivesse su Marte e non sapesse ciò che avviene sotto i suoi occhi, non si inventa un fondo di garanzia per integrare le paghe giornaliere dei raccoglitori di pomodori, angurie, uva e quant'altro? Un euro per ogni iscritto ed è fatta. Meno di un caffè. E' troppo?
E perché i Comuni dove si fa la raccolta non ospitano i lavoratori nelle case abbandonate dei loro centri storici?
Ma anche la chiesa di Francesco, così rivoluzionaria, che mal sopporta il lusso di qualche prelato (“il pastore deve avere addosso l'odore delle sue pecore”, “il sudario non ha tasche”) potrebbe darsi una mossa in senso militante, come fa con successo nel III mondo.
Per esempio, usare una percentuale dell'8x1000 in soccorso della “giornata” dei nostri fratelli contadini improvvisati. Barboni e tossici, prostitute e sfigati va bene, ma anche “Pummarò” chiede pane e cittadinanza, diritti e dignità. Come è scritto nelle "Carte" di tutte le democrazie.
