Pisicchio e il contributo di Moro nella Costituzione Italiana

di VITTORIO POLITO - Un giovane studente universitario, forse nel 1975, fu invitato dal padre Natale, politico moroteo, ad incontrare una domenica mattina in Cattedrale l’on. Aldo Moro, presenti il rettore universitario dell’epoca prof. Ernesto Quagliariello e il prof. Aldo Loiodice. Moro dopo la messa aveva un incontro politico con la sua corrente e, dal momento che la presenza del leader DC era annunciata e a Bari non poteva passare inosservata, fuori dalla Cattedrale si formò un gruppetto di giovani contestatori che avevano preparato un decalogo con delle richieste da avanzare al politico. Gli amici misero al corrente Moro del fatto e lo consigliarono di abbandonare la chiesa da una piccola uscita laterale. L’on. Moro, al termine della messa, uscì tranquillamente e si diresse verso i contestatori che tutto si aspettavano meno che di vederlo. Dopo aver letto le richieste il politico, con la sua proverbiale pazienza, rispose a tutte le osservazioni, non lesinando tempo ed impegno, e al termine colui che era il capo del gruppo non potette esimersi dal stringere la mano al leader DC. Una mano segno di rispetto, quel rispetto che Moro si era conquistato sul campo.

Questo episodio è stato raccontato da Pino Pisicchio - che era quel giovane studente che il padre svegliò presto di domenica per farsi accompagnare all’incontro con Moro - di recente nell’Aula Magna dell’Ateneo nel corso di un convegno sul tema “Contributo di Aldo Moro in Assemblea Costituente” che ha visto la presenza dei professori Loiodice e Rodio. In questa occasione Pisicchio - ricercatore di diritto costituzionale, giornalista, politologo e saggista – ha parlato di uno dei suoi ultimi libri pubblicati “Pluralismo e Personalismo nella Costituzione Italiana. Il contributo di Aldo Moro” (Cacucci editore).

Pisicchio nel 2000 ebbe la brillante idea di pubblicare un volume senza tempo, nel senso che i giovani che oggi si accostano, anche in maniera giusta e velleitaria, alla politica, farebbero bene a consultare. Il volume ha per titolo “Partiti di carta. Raccolta degli statuti dei partiti italiani” (Levante editori) e, come espone nel titolo, ci ricorda che sei furono i partiti (Comunista, Socialista, Democristiano, Liberale, Repubblicano e il Partito d’Azione) che costituirono il difficile passaggio dal regime fascista alla democrazia. Ad eccezione del Partito d’Azione tutti gli altri hanno avuto un ruolo preminente nella vita politica italiana.

Se oggi interrogate un giovane vi saprà dire tutto del partito che ha avuto per leader il nostro Vendola, ma se gli parlate di CCD, CDU, DS, SDI ecc., lo mandate nel panico. Io, per esempio, dall’alto dei miei sedici lustri ho ritenuto utilissimo rileggermi in questi giorni il capitolo intitolato “La democrazia del Mattarellum”.

Nel volume su Moro citato all’inizio - pubblicazione promossa dall’Istituto di Diritto Pubblico dell’Università di Bari nella collana “Profili di Innovazione” diretta dal prof. Aldo Loiodice - l’on. Pisicchio ci ricorda che Aldo Moro fu eletto a 29 anni, nella circoscrizione di Bari, all’Assemblea Costituente. Il gruppo DC, di cui faceva parte, lo designò quale membro della Commissione per la Costituzione, nota come Commissione dei 75.

La Commissione si divise in tre Sottocommissioni e Moro fece parte della prima in cui vi erano La Pira, Togliatti, Basso, Dossetti e altri. Queste persone di elevata capacità intellettuale e morale riuscirono a trovare una formula comune per i partiti e Moro – mediazione come dialogo! – accettò la proposta di Togliatti per cui venne varato quanto segue: “Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del paese. È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma del partito fascista”.   Tanta saggezza spinge il vostro cronista a sentirsi orgoglioso di far parte di una generazione che sacrificava l’io al bene comune nel rispetto di una democrazia che sapeva essere conciliante. Con questi presupposti penso di poter dire che il prossimo ‘referendum’ poteva essere evitato nello spirito di una comunità di intenti: risparmiando su risorse che i politici, anche di tempo impiegato, avrebbero potuto confluire in altri settori.

Il direttore del Giornale di Puglia, sempre disponibile a fatti di alta politica, ha imposto un limite alla prolissità per cui mi limito a dire che quello che ci descrive Pisicchio nel libro andrebbe letto, magari ad alta voce e a presenza massiccia, in PARLAMENTO per capire cosa significhi essere “rappresentanti del popolo” e dare il giusto valore al mandato ricevuto con i voti.  Pisicchio al riguardo era stato abbastanza esplicito in un volume dal titolo “I DILETTANTI” (Guerini e associati) in cui partendo da Filippo Tommaso Marinetti aveva tracciato un percorso della classe politica italiana, specialmente della nuova.  Essendo parte in causa forse non ha avuto un notevole riscontro il suo scritto fra gli attuali addetti ai lavori - fare di tutta l’erba un… fascio non è solo un modo di dire – ed io, per imparzialità, vi dico che lo cito perché lui afferma che l’intenzione delle sue pagine era quelle di gettare un occhio al futuro.

I nostri nipoti esigono e meritano un mondo vivibile, in cui forse i nostri figli hanno sbagliato per colpa dei padri, ma non è certo trovando le colpe - di cui il ‘martirio’ di Moro è l’espressione più alta - che si danno risposte serie, ma anteponendo la correttezza d’azione e il disprezzo dei privilegi - vitalizi docet! – si può pensare di far ripartire la voglia di fare in un popolo che sa fare, ma non è più disposto a sopportare ed a farsi fare la…

Meditate gente e rispettate la brava gente che è in voi e quella che ha avuto fiducia in voi.