OPINIONI. Ma a Renzi conveniva D’Alema a Bruxelles

di FRANCESCO GRECO - Voler vincere è umano, stravincere da sciocchi. E predispone, come direbbero a Trastevere, alle peggio cose. Se Matteo Renzi nei suoi 1000 giorni a Palazzo Chigi avesse tenuto conto di questa massima non scritta, che non è di Marziale, Karl Kraus o Flaiano, oggi non si ritroverebbe col rischio di una scissione in casa, che sarebbe il ko definitivo alle sue già esigue speranze di un ritorno da premier e un’oggettiva spinta al M5S verso il potere.
 
L’errore più smaccato è stato di non riuscire a far convivere le varie “anime” del Pd, cosa che alla Dc e anche al Psi, prima repubblica, riuscì un sacco bene. Da qui i 50 anni di governo interrotti dalle inchieste di Tangentopoli.
 
Ha fatto tutto da solo: prima ha rottamato l’ex premier Massimo D’Alema, poi lo ha vissuto come un competitor, insultandolo a più riprese: “gufo”, “rosicone”, ecc. Eppure ci fu un tempo in cui, inizi 2014, fra i due c’era lo zucchero del flirt. Si messaggiavano come i fidanzatini di Peynet e D’Alema mostrava i teneri sms provenienti da Palazzo Chigi. Che dolci! Che teneri!
 
Il lìder màximo, o “il peggiore” (titolo di un saggio al vetriolo edito da Chiarelettere anni fa), aveva ricevuto la promessa di andare a Bruxelles come alto rappresentante della politica estera dell’UE. Anche perché nel cv ha l’inglese vero, non quello “turistico” di Renzi che fa il verso al Nando Moriconi di Sordi. La domanda nasce spontanea: come può un vecchio politico scafato come D’Alema credere alla parola di un avventuriero? Tutta Italia sà che è carta straccia. E’ un evidente segno di declino del leader.
 
Infatti quel ruolo andò a Federica Mogherini. Uno smacco per l’autostima di D’Alema, notoriamente turgida. Anche perché si picca di conoscere gli equilibri geopolitici del mondo, micro, meso, macro, magari perché legge “Le Monde diplomatique”, inserto del “Manifesto”, esattamente come noi. Oltre che vecchi leader ormai da casa serena: da Bill Clinton a Tony Blair, passando per la nomenklatura cinese a cui, in un incontro, commentando il loro voler coniugare comunismo e capitalismo, ammollò la frase: “Avete voluto la bicicletta? E ora pedalate!”.
 
Il pubblico non capisce la sua involuzione schizofrenica: aveva minacciato di fare solo il vignaiuolo, e invece ci ammolla del buon aceto. Aveva detto che si sarebbe ritirato dalla politica attiva, dedicandosi solo a quella estera, meno sudicia, “sangue e cacca”, di quella local e invece non solo ha collaborato, brindando, alla vittoria del “No” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, intestandosi la vittoria (60% di anti-Renzi che non sapevano nemmeno per cosa si votava), ma ora riunisce deputati e minaccia scissioni tipo Livorno 1921. Scissioni virtuali, strumentali: se se ne va, perde i denari nascosti nelle fondazioni. ”Inutili illusioni” (Cazzullo, “Corriere”).
 
Forse. Intanto fa la voce grossa perché sa che Renzi ha i parlamentari sotto pressione per la ricandidatura, ma non i voti: si è retto 1000 giorni con quelli trascinati dal premio di maggioranza, cioè, i peones senza voti né radicamento territoriale. Cosa che invece D’Alema ha, se è vero quel 10% (o 14%) di cui è accreditato dai sondaggi. Che basterebbe a far perdere i dem, con qualsiasi sistema elettorale (anche proporzionale), cosa di cui D’Alema sarebbe felicissimo (altro cin cin). Ha persino un candidato alla segreteria del Pd: Michele Emiliano, sempre in stand-by, che vuole il congresso, pensando di vincerlo. Candidatura di testimonianza, di bandiera si diceva una volta, per oscurare quelle vere: Rossi, governatore della Toscana, o Roberto Speranza, giovane promessa.
 
Renzi è quindi una tigre di carta. In quanto a D’Alema, ha sempre quell’aria snob di chi avverte che la sua raffinata intelligenza politica sia sciupata fra parvenu e magliari. Solo che il pubblico pagante ancora aspetta di vedere le performance. Oltre un colossale inciucio con Berlusconi non è mai andato, dopo aver lavorato per la distruzione del Psi e dell’idea stessa di sinistra, di cui oggi si fa paladino.
 
Quando B. voleva vendere Mediaset lo fermò dicendo: “E’ una risorsa per il paese”. Erano i tempi della Bicamerale (“Dalemoni”, L’Espresso) e pensava di scambiare le riforme contro la monnezza di Maria De Filippi e la D’Urso. Per questo frequentava casa-Letta e masticava la crostata dell’inciucio, di cui detiene i diritti. Poi B. fece saltare il tavolo: i conti dei cavoli suoi non tornavano, e chissenefrega della Costituzione? Meglio le Olgettine in calore.
 
Da premier condusse la guerra nei Balcani, negandola, tant’è che fu il politologo USA Edward Luttwak a dirgli che era la “sua” guerra, sebbene “benedetta” dalla Nato oggi agonizzante e senza manco i soldi per la fotocopiatrice.
 
Ha una passione per le scorte: quando deve fare il bagno precetta un sacco di carabinieri e poliziotti: teme attentati. I detrattori gli riconoscono due successi: aver tramato per far cadere Prodi, e con la carica dei 101 bloccato la sua strada verso il Quirinale.

Aggiungono che è un ragno che tesse e tesse e alla fine resta sempre intrappolato nella sua stessa ragnatela. Oggi ha quell’aria soddisfatta di chi ha disincagliato l’Ikarus dalle secche e mette barra a dritta. Ultima domanda: D’Alema sarebbe così bilioso se fosse assiso sulla poltrona della Mogherini, vs Renzi?  

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