Libri: 'Favole mondiali', contro la depressione dell’assenza

di FRANCESCO GRECO - C’era una volta, ed è sempre una volta nuova… Se, come tanti, un popolo intero, galleggiate anche voi nella depressione dell’assenza, nel lago di amarezza cui costringe la condizione di guest star (un precedente: 1958, altra tragedia nazionale), e cercate di smaltire la rabbia sotto l’ombrellone (“un’estate strana”).
 
E se non volete andare dallo psicanalista dell’Asl, per risparmiare, potrete cavarvela con una ventina di euro e trovare conforto nel passato, remoto e prossimo, le infinite scansioni della memoria, l’album svolazzante al vento dei miti, il magico puzzle delle leggende, l’affabulazione gaia delle fiabe, la dolce poesia (così intendeva il calcio lo scrittore Eduardo Galeano, “Per una bella giocata andrei in capo al mondo…”) delle giornate epiche (e così le leggevano Gianni Brera e Giovanni Arpino, Ezio De Cesari e Gismondi, Caminiti e Gino Bacci, Ormezzano e Gaio Fratini), scolpite nel nostro immaginario.
 
Perché il pallone si trasfigura in altro da sé, “va verso la felicità”, è “musica dei sogni”: rimbalza e regala “la meravigliosa armonia del mondo”, contiene mille e passa metafore, sedimenta allegorie, trasfigura la nostra storia e l’anima nascosta dei popoli.
 
Ogni gol è una favola, epos stellare, come nelle “Mille e una notte”: Sheherazade non finisce mai di raccontare, e noi non ne abbiamo mai abbastanza...
 
Forse è l’input che cela “Favole mondiali” (60 incredibili storie per bambini e bambine dai 6 ai 60 anni e molto oltre), di Furio Zara e H-57, Baldini+Castoldi, Milano 2018, pp. 188, euro 20,00.
 
Zara sta sui giornali (Corriere dello Sport, Avvenire, Guerin Sportivo, Repubblica, Vanity Fair) e alla tv (Rai, 90mo e DS). Ha già pubblicato “Bidoni” (format adottato subito dalla politica, che dovrebbe pagare i diritti). Sogna spesso di scartare tutta una squadra e poi segnare di tacco, o con una rovesciata acrobatica, alla Cristiano Ronaldo…
Non svegliatelo!
 
Per i disegni si è avvalso di Matteo Civaschi, gioco di squadra con i creativi: Marco Dalbesio, Livia Albanese Ginammi, Alessia Chiaravalloti, Susan Shang, Marco Bottini, Katia Monguzzi, Beatrice Porri, Sabrina Di Gregorio, Shortology, H-57 Creative Station.   
 
Balsamo sulle ferite, aperte a novembre 2017 dall’algida Svezia delle fate bionde per qualificarsi a Russia 2018 (vetrina formidabile per Putin e la sua grandeur): ci voleva un gol, un misero, stupido gol, magari dello “sciagurato Egidio”, che ahimè non siamo riusciti a fare, nel paese dove nacquero Riva, Boninsegna, Paolo Rossi, Schillaci, Baggio, Totti, Insigne. Ma le tragedie sono cicliche: se ne riparla fra 60 anni…
 
Sorte miserabile, di sicuro opera di qualche stregone da strapazzo, che ci voleva male e ci ha affatturati coi (radi) capelli di Higuain e gli spilloni del mago Forest: così la sfiga cosmica ci è cascata addosso negandoci “quella felicità a cui tutti abbiamo diritto” per il sol fatto d’essere nati.
 
Non ci resta, allora, che tifare Svezia, percuoterci il petto col cilicio, spargerci cenere in testa, ipotizzare un futuro con Robert Mancini.
 
E consolarci rileggendo la storia, le storie, nostre, dei padri e dei nonni: da Lucien Laurent, l’uomo che segnò il primo gol ai Mondiali in Uruguay (1930), a CR7 “Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro” (Brasile 2014) a oggi, Russia 2018, e tutti quelli che ieri, oggi, sempre, hanno seminato “bellezza” e innalzato verso al Cielo.
 
Il bello del libro è che fruga fra le interfacce più segrete della storia dei Mondiali, fatti e personaggi di Eupalla di cui, fellinianamente, poco si sa e tutto si immagina.
 
Chi si ricorda più, se non gli almanacchi e i sapienti, di Luis Ricardo Guevara Mora, 19 anni, portiere di El Salvador, che al Mondiale 1982 in Spagna, allenava Enzo Bearzot (vincemmo noi, gol e urlo di Tardelli, 3-1, il presidente di tutti gli italiani, Sandro Pertini, in tribuna, “Non ci prendete più”), nella partita con l’Ungheria prese 10 reti? Una tragedia di Sofocle:
“Lasciatemi da solo”, “Abbiamo perso tutti”.   
 
E di Roger Milla, l’attaccante del Camerun: facemmo 0 a 0, sospetti, veleni, pugnali, come alla corte dei Borgia, messer Oliviero Beha, riposi in pace) di cui egli stesso non sapeva l’età (diceva 38, forse erano 42, era già nonno?) che a Italia 90, davanti alla bandierina del calcio d’angolo, ballava la “Makassa”, danza popolare del suo paese, un pò pizzica-pizzica?
 
Invece, ci ricordiamo bene, ahinoi (l’analista non è riuscito a formattare il dolore), del rigore (e le lacrime) di Roby Baggio, a USA 1994, che finì alle stelle…

Corsi e ricorsi: polvere di stelle...     

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