Anche Bari ha avuto il suo Mosè e la Sinagoga


di VITTORIO POLITO - Mosè, un rabbino nato a Bari e morto a Cordova intorno al 1065, è considerato un «grandissimo “barese” che ha del fantastico», come scrive Sorrenti nel suo libro “I Baresi” Tipografia Mare, 1980). Egli con altri rabbini partì da Bari intorno al 1027, per recarsi in Palestina (Cognetti cita il 956 ma è improbabile, poiché se così fosse, alla sua morte avrebbe avuto oltre 100 anni, cosa improbabile), ma durante il viaggio furono abbordati dai pirati del Califfo di Cordova Abd-el-Râmani III e così la nave barese fu preda di queste fameliche orde.

Il nostro Mosè fu venduto ed acquistato dalla comunità ebraica. Un giorno mentre rabbi Nathan, uno dei grandi sapienti di Cordova, spiegava il Talmud (una codificazione di leggi riguardante le decisioni degli studiosi sulle controversie legali con leggende, aneddoti e detti che illustrano la legge tradizionale), fu interrotto da un cencioso Mosè, il quale mise in dubbio quanto diceva Nathan e dette esaurienti spiegazioni del passo che si stava leggendo. Da quel momento Mosè divenne lui il capo della Sinagoga ed ebbe tanta fama e fortuna che non vi fu quesito che egli non risolvesse e per questo motivo Cordova divenne il massimo Centro della scienza ebraica d’Occidente.

Alla sua morte, il figlio Enoch prese il posto del padre, con il quale collaborò nell’attuazione del grande disegno, che si compì, di trasferire in Andalusia il metodo di studio in vigore sino ad allora in Mesopotamia. Spetta loro il merito di aver istituito in Spagna, forse uno dei più grand centri dell’ebraismo del mondo.

La storia dell’ebraismo barese (o pugliese) è ancora da scrivere, sottolinea Sorrenti, ma il nostro Mosè fu certamente uomo di primissima grandezza e la sua sapienza proverbiale è paragonabile a quella di Schiavo da Bari (1180-1266), un poeta che fu giudice. Considerata persona dotta e di buon senso, ricordato con una iscrizione sulla Trulla della Cattedrale di Bari, riuscì a far giungere il suo nome in ogni parte d’Italia, diventando così un simbolo della saggezza.

La fato mostra l’ingresso del palazzo Effrem De Angelis di Bari (oggi sede dell’Istituto di Scienze Religiose) con accanto alcuni ebrei in preghiera. Nel secolo scorso il palazzo era considerato uno dei simboli dell’antico ghetto ebraico che sorgeva nel centro storico di Bari.

Onofrio Gonnella, con la sua poesia “La Senagoghe”, ricorda e conferma nella nostra città la presenza del tempio ebraico.


LA SENAGOGHE*
di Onofrio Gonnella

Ce te ne va a la scole Corridone
do larghe Maurjielle a Santarese,
addò se note u core du barese
la viste s'addolcisce e l’imbressione.

Vite la Chiessia Maddre e u chernescione,
la cubbua, la terrazza tesa tese,
ormà da tanda tjiembe semme appese,
ca parle de la vecchia costruzzione.

U Trulle, u Cambanale e uarchetrave
l’andica Senagoghe, cu rosone,
la Currie, u Semmenarie e San Savine.

Ce vene nu pettore ca jè brave
so certe ca me pote da rascione
pu spunde ca v’avè da stì ruine.

* da “Bari nostra”, di O. Gonnella, Scuola Tip. Villaggio del Fanciullo, Bari 1951, pag. 18.
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