Bologna: Congresso Internazionale sulla pasta ‘From seed pasta’

di VITTORIO POLITO - Dal 19 al 21 settembre 2018 si svolgerà a Bologna – presso il Centro Congressi della Regione Emilia Romagna - la III edizione del Congresso Internazionale “From seed pasta”, ovvero dal seme alla pasta, a cui prenderanno parte i maggiori esperti mondiali di genetica del grano che illustreranno le nuove opportunità per ottenere in modo sostenibile prodotti di qualità.

Parteciperanno: ­ Barilla, Granoro, il Gruppo molitorio Casillo, il Centro internazionale di miglioramento del mais e del grano (Cimmyt), il Centro internazionale per la Ricerca in Agricoltura nelle aree asciutte (Icarda), il Consiglio nazionale per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), il Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR), Università di Bologna, la cui presenza sarà sufficiente per far capire lo spessore di “From Seed To Pasta III”, terza edizione del Congresso internazionale che riunisce a Bologna, industrie molitorie, aziende della lavorazione del grano e pastifici, insieme al comparto agricolo e al mondo universitario e scientifico, per presentare gli ultimi risultati della ricerca sul grano duro.

«Una buona pasta inizia da un buon grano duro. Un’affermazione che può sembrare ovvia ma non lo è», chiarisce Luigi Cattivelli del Crea, presidente del Comitato scientifico di “From Seed To Pasta”. «Infatti, “buon grano duro” significa “grano di qualità tale da soddisfare le esigenze delle aziende di trasformazione che vogliono immettere sul mercato prodotti di eccellenza”. In sintesi, deve avere un alto contenuto proteico e buon indice di giallo, ed essere privo di micotossine. Inoltre, nel rispetto dell’ambiente, è sempre più urgente l’esigenza di ricorrere a un utilizzo limitato di fertilizzanti».

«Si capisce, quindi ­‐ aggiunge il presidente del Comitato organizzatore, il professor Roberto Tuberosa, dell’Università di Bologna -­ come la selezione di varietà di qualità, resistenti alla ‘fusariosi’ (malattia delle piante determinata da particolari funghi che causano l’ostruzione parziale e lesioni nelle pareti delle trachee determinanti un’alterazione del bilancio idrico con conseguente avvizzimento), o ad altre malattie, è di alto rendimento perché capaci di massimizzare l’assorbimento dell’acqua e dell’azoto, sia la via maestra e indispensabile per garantire, in futuro, produzioni sostenibili e capaci di crescere anche in condizioni climatiche avverse».

Questi, alcuni degli argomenti che saranno discussi al Congresso. Inoltre, sarà presentata in anteprima la sequenza del genoma del grano duro, si parlerà dell’identificazione di nuovi geni che “accendono” la resistenza alle malattie, di come promuovere una gestione agronomica sostenibile per la sicurezza alimentare, della possibilità di creare varietà di frumento con glutine non tossico per i celiaci.

Ma “From Seed To Pasta III” è anche “ricerca applicata”, poiché dà spazio al confronto costruttivo con gli operatori di tutta la filiera affinché la ricerca non sia fine a sé stessa ma possa concretamente essere utilizzata come strumento di innovazione dal campo al piatto. Da qui, il coinvolgimento delle aziende alla Tavola rotonda “Innovazione nella filiera grano duro ­‐ pasta”.

Sono le imprese ad avere il polso del mercato, le prime a dover cercare di anticipare le tendenze. E per offrire prodotti unici la ricerca rappresenta il miglior alleato. Così, all’incontro del 21 settembre, la dott.ssa Marina Mastromauro, amministratore delegato del Pastificio Granoro, focalizzerà l’attenzione sulla pasta “CuoreMio Bio”, ottenuta con materie prime 100% da Agricoltura Biologica Italiana: una miscela di semole di grano duro di altissima qualità e farina di una particolare varietà d’orzo, “Orzo Beta”, ad alto contenuto di fibre solubili Betaglucani, che contribuiscono a ridurre il colesterolo.

Un appuntamento di rilievo, quindi, “arricchito” dalla presidenza onoraria di Paolo De Castro, vice presidente Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, e con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, di Italmopa (Associazione industriali mugnai d’Italia), Antim (Associazione nazionale dei tecnici mugnai), dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, del Museo delle Paste Alimentari di Roma, dell’Enea, del Mediterranean Agronomic Institute (Ciheam), dell’European Plant Science Organisation (Epso), dell’European Association for Research on Plant Breeding (Eucarpia), dell’International Wheat Yield Partnership (Iwyp), e della Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area (Prima).

Ed ora qualche notizia sulla ‘nascita’ della pasta.

Un secolo prima di Cristo, Cicerone e Orazio, erano già ghiotti di ‘làgana’ (termine che deriva dal greco ‘laganoz’ da cui il latino ‘làganum’ che designava una schiacciata di farina, senza lievito, cotta in acqua. La forma plurale ‘làgana’, invece, indica strisce di pasta sottile, liscia o leggermente ondulata, fatta di farina e acqua, da cui derivano le nostre lasagne.
In un inventario relativo ad un’eredità, stilato da un notaio nel 1279, si legge testualmente, «una cestella piena di maccheroni». Doveva certamente trattarsi di pasta “secca”, fatto che avrebbe accreditato la paternità ai cinesi.

Aristofane, commediografo greco, in una descrizione di taglio gastronomico, accenna ad una pasta che ricorda il raviolo. Col termine ‘maccherone’, trovato già in uno scritto del Basso Medio Evo, si denominava in quel tempo ogni tipo di pasta, lunga e corta, mentre in Sicilia si definivano ‘maccarones’ le paste ripiene che oggi chiamiamo ravioli. Altre tracce ci portano in Medio Oriente e pare possibile che la pasta secca sia di origine araba. Questa ipotesi è accreditata dai nomi arabi ‘itryya’ e ‘fad’ attribuiti ai fili di pasta di forma cilindrica e ai ‘fidelini’. In terre come la Sicilia e la Spagna, che hanno subito la dominazione araba, l’uso dei due termini continua, trasformati in ‘trii’, ‘fideli’ ed in ‘tria’ e ‘fidear’.

Nel XVII secolo con la crescita demografica e le conseguenti necessità, approfittando di una piccola rivoluzione tecnologica, la diffusione della gramola e l’invenzione del torchio meccanico, si produce pasta a prezzo conveniente. Nel XVIII secolo la pasta veniva preparata impastando la semola con i piedi, ma il Re Ferdinando II non era contento e ingaggiò un famoso ingegnere per migliorarne il procedimento. Il nuovo sistema proposto consisteva nell’aggiungere acqua bollente alla farina macinata fresca e al subentro di una macchina fatta di bronzo che imitava il lavoro dell’uomo.

Nel 1740 Venezia concede la licenza per aprire il primo pastificio. Nel 1763 il Duca di Parma concede a Stefano Lucciardi di Sarzana, il diritto di privativa per 10 anni, per la produzione di pasta secca nella città di Parma. Agli inizi dell’Ottocento la pasta inizia ad incontrare il pomodoro, ed il ‘matrimonio’ fu felice. Infatti, sino ad allora la pasta era consumata senza condimento o con il solo formaggio. Ma l’uso del pomodoro nella cucina italiana avviene solo alla fine dell’800, poiché fino a quel momento il pomodoro era considerato pianta ornamentale e, secondo una leggenda dura a morire, addirittura pianta velenosa!

Pietro Barilla nel 1877 apre a Parma un negozio di pane e pasta: con un torchietto di legno produce 50 kg di pasta al giorno. Nel 1970, sempre a Parma, Barilla inaugura quello che ancora oggi è il più grande pastificio del mondo, mentre alla fine degli anni ’70 si comincia a parlare di “dieta mediterranea”.

L’arte della pasta si serve anche di piccoli elementi fabbricati artigianalmente, in geometrie difficilmente riscontrabili in natura. I ‘ziti’ (una particolare qualità di pasta), prende il nome dalla donna che va sposa, che a Napoli ed anche a Bari, è chiamata in dialetto ‘zita’. Si tratta della classica pasta per il pranzo di nozze, ma per i baresi i ‘ziti’ rappresentavano anche la trafila per il pranzo della domenica, i quali dovevano essere rigorosamente spezzati a mano (si tratta infatti di una pasta lunga). I bucatini, invece, furono un modo tutto romano di reinterpretare gli spaghetti, mentre a fine ’800 i ditalini (o tubettini) rigati furono chiamati anche garibaldini (?).

La pasta, come detto, rappresenta anche il componente principale nella cosiddetta dieta mediterranea. Per le sue caratteristiche nutritive è ritenuta fondamentale nelle moderne diete sportive, grazie alla bassissima percentuale di grassi e alla presenza di zuccheri composti, in grado di garantire un apporto di energia diluito nel tempo. Ricerche della FAO (Food and Agricultural Organization) hanno dimostrato che un semplice piatto di pasta condita con olio e formaggio rappresenta un’alimentazione completa. Ciò è importante perché dato il costo ridotto, la pasta, almeno in Italia, rappresenta il piatto principale per molte famiglie. Insomma il piatto nazionale.

Ed ora qualche curiosità.

In alcuni scritti del XII e XIII secolo ci sono riferimenti ad “abbuffate di lasagne con formaggio”; Jacopone da Todi nomina la pasta in una delle sue invettive contro il Papa; Boccaccio, nel Decamerone, ne fa un elogio.

Fu solo attorno al 1700, che grazie ad un ciambellano di corte di Re Ferdinando II, Gennaro Spadaccini, e alla idea di utilizzare una forchetta con quattro punte corte (poi diventata di uso comune), la pasta cominciò ad essere servita anche nei pranzi delle corti di tutt’Italia e da allora iniziò il suo giro del mondo. La pasta è diventata così il cibo più italiano che ci sia, quello che ovunque nel mondo viene istintivamente associato all’Italia.

Infine, nel 1734, Giacomo Casanova compose a Chioggia un sonetto in onore dei maccheroni e ne fece una tal mangiata che venne subito incoronato “Principe dei Maccheroni”, mentre a Napoli quasi contestualmente il popolo cantava:

Chi mogliera vuol pigliare
E fan buono il desinare,

Deve fare un calderon
Tutto pien di Maccheron.

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