Mussolini vs Italia

di FRANCESCO GRECO - Un surplus di ideologia nell’approccio analitico – e non poteva essere altrimenti nel secolo degli “ismi” – aveva sinora “nascosto” il vero Benito Mussolini e il Fascismo nelle sue infinite dinamiche storiche e sociali. Agli storici meno avveduti, ma anche alla gente comune, che sinora ha “letto” come “unicum” un fenomeno così sfaccettato.
 
Uomo e politico complesso, barocco (parte come socialista, nessun amico vero, molte donne possedute animalescamente nelle torride controre), come d’altronde il suo tempo, molto italiano, con “M” (Il figlio del secolo), Bompiani Editore, Milano 2018, pp. 840, euro 24,00, Antonio Scurati (Napoli, 1969) ha colmato la lacuna partendo dall’uomo e il Ventennio usando uno sguardo polisemico, più password nel riproporre e allineare carte ufficiali, snodi storici, tesi, antitesi, sintesi, scansioni: psicologica, psicanalitica, etica, estetica, sociologica, antropologica, genetica, ecc.
 
Un lavoro poderoso, monumentale, si direbbe definitivo, che si affianca a quelli di altri storici che pure hanno ben maneggiato la stessa materia: Renzo De Felice e Denis Mack Smith su tutti.
 
L’”animale” politico Mussolini, l’istrione che nel 1921 (è già direttore del “Popolo d’Italia”) ha un incidente mentre impara a volare all’aerodromo di Arcore e nel 1944 finisce a testa in giù a Piazzale Loreto con l’amica Claretta Petacci, ne esce in tutta la sua ricca poliedricità.

Scurati allinea e fa parlare i documenti ufficiali degli archivi, la stampa, i partiti, i politici, ecc. Ma trae anche delle conclusioni che illuminano un periodo della nostra storia, e un uomo, che pure si credono indagati a sufficienza.
 
Pagina dopo pagina compone un puzzle esauriente, che svela l’uomo e il politico in perfetta osmosi con l’Italia e gli italiani. Relativizza la scuola di pensiero che vorrebbe gli italiani puri, che hanno subìto il Ventennio e non invece portatori di consenso proprio, poi svaporato per saltare sul carro dei successivi vincitori, come diceva Flaiano, uno dei nostri padri della patria.
 
Piccolo particolare quasi insignificante: i paradigmi culturali e si direbbe genetici dell’Italia e degli italiani che militarono, riempiendo Piazza Venezia ma anche le piazze dei piccoli borghi rurali, a distanza di pochi decenni, si ritrova uguale, o quasi, nel mini-regime in cui siamo democraticamente precipitati e che intriga i filosofi del pensiero debole e gli aedi dell’uomo forte.

Apparato propagandistico uguale, anzi, più raffinato (oggi comunicare vuol dire spacciare bromuro e fake-news, smussare, acconciare o tacere la realtà, e il web e gli hackers sono gli strumenti più micidiali). Più la comunicazione è terra terra, più è infida e pervasiva. Citazioni lessicali (“Me ne frego!”, “Non arretro di un millimetro”) e scenografiche incluse (balcone di Palazzo Venezia).
 
Ieri i dannati erano gli Ebrei, oggi i migranti (e i burocrati dell’UE). Basta solo sostituire i personaggi, come i pupi nel presepe.
 
Questo prova non solo che il dna italico è sempre uguale, ma che, come diceva Leo Longanesi, siamo un popolo di “pecore anarchiche”, bestiame brado che “governare è inutile” (Mussolini).
 
Mussolini ieri e gli altri in 16mi che si affacciano suadenti dallo schermo tv oggi l’hanno capito fin troppo bene. Rozze psicologie da imbonitori di sagre paesane, volgari psicologismi da bar sport.
 
Ecco perché il Duce si trasfigura in un archetipo (Scurati ci fa capire anche questo), è l’immortale Italietta della delega al più furbo e spregiudicato, della coreografica fuga dalle responsabilità (“Armiamoci e partite”).

E’ il “nocchiero” della “serva Italia di dolore ostello…”. Fedele nei secoli ai suoi errori e orrori. 

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