Renzo Arbore (intervista): «Spero che un giorno la musica napoletana e quella italiana siano studiate nelle scuole»


di NICOLA RICCHITELLI – L’ospite di quest’oggi non ha bisogno di presentazioni. E' entrato nelle case degli italiani tanto tempo fa prima attraverso la radio, poi con la televisione. Inutile scrivere della sua carriera e del suo apporto dato alla televisione e alla cultura italiana perché coloro che hanno vissuto e avuto modo di vivere i momenti più esaltanti della sua carriera sanno che non li resta che perdersi nell’amarcord di video sparsi tra Youtube e vecchie trasmissioni televisive per comprenderne appieno la grandezza.

Chi è Renzo Arbore l’ho capito la sera di un 6 dicembre del 2008 a Barletta, in piazza Aldo Moro.

Lui venne nella Città della Disfida – con la sua Orchestra Italiana - per un concerto nell’ambito della “Puglia Night Parade” - manifestazione che portò tra l’altro in due giorni nelle piazze delle maggiori città pugliesi artisti del calibri di Pino Daniele, Lucio Dalla e Antonello Venditti.

Forse sarebbe meglio dire che lo capii alla fine di quel concerto, quando una piazza gremita da non solo nostalgici di “Quelli della Notte”, “Indietro tutta” e compagnia bella, si ritrovò a ballare sulle note di “Come facette mammeta”.

Con immenso piacere e ringraziando il maestro Arbore per l’onore che dà oggi al Giornale di Puglia di poterlo ospitare sulle sue pagine, ecco la nostra chiacchierata con il grande Renzo Arbore. 


Maestro, “Guarda…Stupisci”, un programma per raccontare la musica umoristica napoletana. Da dove nasce questa esigenza?
R:«Nasce dal fatto di insegnare ai ragazzi più giovani i fenomeni che non hanno vissuto. Infatti in studio vediamo un pubblico di studiosi e studenti di tradizioni, di musica, di cinema, di spettacolo. Credo che il compito di un signore della mia età sia quello di indicare ai ragazzi che non hanno vissuto alcune stagioni della cultura italiana questi momenti qua, l’ho fatto con la canzone napoletana antica e classica – e lo sto facendo ancora con la mia Orchestra Italiana attraverso i vari concerti in giro per l’Italia e per il mondo – questa volta lo faccio con le canzoni umoristiche napoletane, altrimenti corriamo il rischio che rimangano ignote con il passare del tempo, anche perché quelle canzoni contengono dei meccanismi umoristici che ancora oggi servono per far ridere».

Parliamoci chiaro, la musica napoletana, - faccio riferimento a quella che lei porta in giro per il mondo con la sua Orchestra italiana – piace, e piace anche a chi storce il naso. Quali sono a suo modo di vedere gli elementi di attrazione?
R:«Sicuramente la melodiosità, la melodia. La melodia che sprigiona la canzone napoletana non ha eguali al mondo, fatto salvo la melodia del melodramma italiano, dell’opera di Giuseppe Verdi, di Giacomo Puccini e Gioacchino Rossini, melodie che con l’Orchestra Italiana – realizzando conti alla mano circa 1500 concerti - ho portato in tutto il mondo, dall’Unione Sovietica e quindi dall’attuale Russia, passando dall’Australia e quindi Cina, Giappone, Nord e Sud America, Francia, Spagna, e tanti altri ancora, in tutti questi paesi abbiamo portato la musica napoletana facendo sempre il tutto esaurito; questo per dire che la musica napoletana è un patrimonio italiano sottovalutato dagli stessi artisti napoletani, che la vivono in qualche modo come canzone del passato, un po’ come dire che Johann Sebastian Bach è un artista del passato, che la Traviata è solamente un melodramma del passato».

Come vedrebbe l’idea di far studiare la musica napoletana a scuola?
R:«Credo sia una cosa che dovrebbe assolutamente fare il Ministero dei Beni Culturali, perché la canzone napoletana prima e la canzone italiana dopo sono un fenomeno di cultura fatto passare un po’ per fenomeno minore, quando è straordinariamente maggiore. Il tempo ha giudicato queste canzoni – e qui mi riferisco a quelle di De Andrè, Mogol, Modugno e tanti altri – quali canzoni eterne, opere d’arte piccole dal punto di vista della durata del pezzo in sé, ma formidabili. Il mio augurio è appunto questo, che prima o poi qualche intellettuale prenda il mio posto e cerchi di far studiare tutto questo nelle scuole italiane e nelle università».

Maestro, il giorno successivo alla messa in onda della prima puntata tutti hanno parlato di auditel ma nessuno della qualità del suo programma…
R:«Purtroppo questo è un vezzo tutto italiano che onestamente a me non piace, giudicare la bontà di un programma solo dall’indice di ascolto... Devo dire che molti critici importanti hanno parlato della bontà del programma più che dell’auditel, ma oramai è inutile negarlo che siamo sotto la dittatura dell’auditel. A mio modo di vedere occorrerebbe anche l’indice di gradimento, quindi dare modo al telespettatore di giudicare la bontà o meno di un programma, perché possono esserci programmi visti poco ma molti amati dal pubblico, un po’ come è successo a me nella mia carriera come ad esempio con “L’Altra Domenica” e “Quelli della notte”.

Riuscirà la televisione italiana a slegarsi dalla schiavitù dell’auditel e ad intraprendere la strada della qualità?R:«Diciamo che non c’è la voglia, ci vorrebbe qualcuno che recuperi a monte l’indice di gradimento, l’indice di bontà, di affezione nei confronti di un programma, se non si fa questo la televisione italiana sarà sempre schiava dell’auditel».

Dopo “Guarda…Stupisci” avremo la possibilità di vederla con una certa frequenza in tv o dovremo accontentarci di queste piccole e brevi incursioni?
R:«Io spero di si – anche perché la mia è un età importante – spero di poter fare ancora qualcos’altro, anche se non bisogna dimenticare che c’è l’Orchestra Italiana, un progetto che mi mantiene giovane, quindi ci devo ritornare. Fare l’artista era la mia ambizione, faccio l’artista in televisione, ma lo sono soprattutto nella musica, non soltanto con l’Orchestra Italiana, ma anche con lo swing, uno stile che si balla da tante parti, specie in Puglia, in particolar modo nel Salento, ma anche Matera. Insomma il mio destino è ancora legato alla musica, poi come esecutore o come critico, come studioso, o come video jockey, diciamo che il mio posto è là».

Maestro, questa ultima domanda la fa il barlettano che è in me: come nacque la famosa “Barlett Barlett”?
R:«Beh, la Puglia e la sua “pugliesità” è un po’ la nostra passione. Quando ci incontriamo con Lino Banfi, Michele Mirabella, Gegè Telesforo e altri, noi ci divertiamo a parlare tra di noi il pugliese, a raccontare le cose in pugliese, quindi nacque così, nei i miei incontri con Banfi, trasformando la famosa “New York New York” in “Bàrlett Bàrlett” e dedicando questa canzone a questa splendida città che è Barletta. Conservo ancora oggi il testo originale; delle volte l’abbiamo riproposta così come l’abbiamo scritta altre abbiamo improvvisato, però è una canzone a noi cara, è stata infatti riproposta – assieme a Lino Banfi - l’ultima volta l’anno scorso all’Auditorium di Roma».

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