Violenza sulle donne e psicanalisi

di VITTORIO POLITO - La Magi Edizioni ha pubblicato per la collana “Parole d’altro genere” il volume “Vivere con Barbablù – Violenza sulle donne e psicoanalisi”, di Maria Cristina Barducci, psicologa e psicoanalista junghiana, Beatrice Bessi, analista infantile, e Rita Corsa, psichiatra e psicanalista.

Le autrici affrontano dal punto di vista della psicoanalisi un tema molto scottante e d’attualità, come è dato sapere dalle cronache degli ultimi tempi.

Oltre alla violenza fisica o sessuale le donne subiscono frequentemente anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, controllo ed intimidazione, nonché privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia.

Il dilagante fenomeno della violenza di genere impone anche alla psicoanalisi di far sentire la sua voce. Come aiutare sul piano intrapsichico le donne che, adesso sempre più numerose, denunciano di aver subito violenza sia psicologica sia fisica? A questa domanda rispondono da diversi punti di vista, le autrici del saggio, teso ad affrontare il tema da una prospettiva integrata, che tenga conto sia del dato oggettivo e dalla presa di posizione politica, giuridica e criminologica delle donne maltrattate.

Il libro che si articola in tre parti: il difficile percorso delle donne verso la propria soggettività, che tratta della violenza simbolica, della psicoanalisi e del mondo interno delle donne maltrattate; il lavoro sul campo e la psicologia del profondo: percorsi di integrazione; narrazioni violente, ‘dovremmo essere tutti femministi”, che tratta di piccole e grandi bugie e della violenza domestica. Ogni capitolo riporta la bibliografia relativa al testo trattato.

Perché Barbablù? Perché a ben vedere, la vicenda di Barbablù contiene in sé due tratti tipici dello schema criminologico che si ritrova nella casistica delle forme più gravi di violenza di genere: la dipendenza/sottomissione al potere maschile e l’isolamento della donna vittima. Il potere dell’ “orco” è prettamente economico: grazie alla sua grande ricchezza (“c’era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville principesche e piatterie d’oro…”) riesce a sposarsi ancora una volta, nonostante il colore della barba che ispira ribrezzo e spavento e, soprattutto, il fatto che “aveva sposato diverse donne e di queste non s’era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto”.  Ma l’ultima sposa che, trasgredendo il divieto, apre la stanza proibita dove stavano i corpi di parecchie donne sgozzate “morte e attaccate in giro alle pareti”, si salva da eguale sorte poiché, avendo conservato stretti i legami familiari, tramite la sorella riesce a chiamare in suo soccorso i due fratelli soldati, che giungono in tempo per uccidere il mostro.

In conclusione, ‘Vivere con Barbablù’ non risulta l’ennesimo contributo di genere, ma piuttosto un libro complesso e plurale, in cui la disamina dei modelli teorici rinvia costantemente a casi clinici e ai profili pratici, sempre illuminata da un’attenzione partecipata per le vittime di tante tristi realtà. Perché, come recita l’unica frase che campeggia sulla quarta di copertina “La donna è un soggetto a rischio”.

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