Federalismo: i timori di Confartigianato Puglia

BARI - «Cautela sull’autonomia differenziata delle Regioni»: è quanto chiede Confartigianato che sottolinea i rischi dell’operazione sostenuta dal Governo. È la prima volta che si avvia un procedimento ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, teso a concedere «ulteriori forme e condizioni di particolare autonomia», secondo quanto introdotto con la riforma costituzionale del Titolo V. Si tratta di un’operazione che avrà «ricadute sull’assetto del Paese, anche dal punto di vista dei rapporti economici e della garanzia dell’equo accesso alle prestazioni pubbliche da parte di cittadini e imprese», secondo Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Puglia.

Presidente, la cosiddetta «autonomia regionale rafforzata» è parsa, in questi primi mesi di governo, un tema di secondo piano. Eppure sembra che il processo stia arrivando a compimento. Cosa ne pensa?
«In realtà la questione del rafforzamento delle autonomie regionali è materia oggetto del contratto di governo tra M5S e Lega e, proprio in quella sede, viene definita “prioritaria”. Per cui non sorprende che, specie chi ha fatto dell’autonomia del nord un vessillo di partito, rivendichi l’applicazione di quanto delineato da quel documento».

Ritiene quindi che si tratti di un ritorno in termini edulcorati delle spinte secessioniste del partito di Salvini?
«Mi auguro davvero siano ormai trascorsi quei tempi. Diciamo che, con alterne vicende e diverse definizioni, il federalismo è stato il leit-motiv politico degli anni 2000. Dalla riforma del Titolo V in poi, di federalismo si è sempre parlato, in maniera più o meno spinta. Quella di rafforzare le autonomie non è di per sé un’idea sbagliata che lede automaticamente il Sud. Il vero punto è con quali obiettivi e in che modalità si intende attuare questo processo».

A cosa si riferisce?
«Incrementare l’autonomia delle Regioni ha senso solo se l’approdo finale è quello di migliorare efficienza ed efficacia dell’azione pubblica nell’utilizzo delle risorse e nella fornitura di servizi a cittadini ed imprese. Chi richiede l’autonomia rafforzata deve dar prova di poter fare meglio di quanto sia capace l’apparato centrale. Insomma: dovrebbe essere una partita tesa al rafforzamento e non allo smantellamento dello Stato nel suo complesso. In questa chiave è evidente che non si può perseguire il vantaggio di alcuni territori a scapito di altri: ne va della tenuta del sistema Italia e non credo proprio sia questo lo schema allestito dal legislatore costituzionale della riforma del 2001». 

Secondo lei, il rischio è quello di vedere incrementate le differenze tra i territori?
«Noi crediamo non si possa prescindere dalla consapevolezza del gap che c’è tra Nord e Sud e questo vale per ogni profilo dell’azione di Governo. Pensare che tutti territori siano allo stesso livello e trascurare le zavorre che ancora oggi affliggono il Mezzogiorno sarebbe assolutamente deleterio, oltre che ingiusto nei confronti di chi lavora e produce in questa parte d’Italia. L’Italia è una ma non è tutta uguale, a partire da servizi e infrastrutture, temi rispetto ai quali Confartigianato ha rivendicato con forza a livello nazionale un’azione decisa del Governo centrale. Ecco perché riteniamo irrinunciabile che, pur nel rafforzamento del livello di prossimità dell’azione Statale, si allestiscano gli strumenti necessari a garantire la chiusura di un divario che è innanzitutto infrastrutturale. Se, al contrario, il mantra è solo e sempre quello di “restituire” ai territori una porzione sempre maggiore del relativo gettito fiscale, frantumando il principio di solidarietà su cui si regge il Paese, siamo in un vicolo cieco».

Quale sarebbe allora una ricetta equilibrata?
«Un’operazione davvero utile sarebbe quella di partire – come peraltro proposto da Svimez – dall’applicazione dei principi della legge 42/2009 e mettere una volta per tutte la parola “fine” a sprechi e inefficienze nella gestione decentrata delle risorse. Utilizzare il parametro dei costi standard metterebbe a tacere certe recriminazioni da parte delle Regioni che si definiscono “virtuose” ed eviterebbe che il ricorso all’autonomia possa diventare motivo di ulteriore spesa da parte di quelle “meno virtuose”. Sempre nella stessa norma sono previste regole precise sui fondi di perequazione territoriale e di garanzia nelle prestazioni in relazione a fabbisogni standard. Come spesso accade in Italia, le leggi ci sono già ma non vengono applicate. Fuori da questo quadro, al netto di questioni di legittimità, non credo si otterrebbe altro risultato se non quello di spaccare ulteriormente il Paese».

Il Governatore della Puglia Michele Emiliano ha espresso, anche con un atto di Giunta, l’intenzione di perseguire la stessa strada delle tre regioni del nord, facendo una scelta pro autonomia. È la strada giusta?
«Credo si tratti di temi estremamente complessi, che coinvolgono direttamente il rapporto di cittadini e imprese con le Istituzioni. Ritengo pertanto che, prima di fare certe scelte, sarebbe importante ascoltare quantomeno le Parti Sociali che costituiscono il partenariato economico e sociale della nostra Regione per cercare di capire qual è la direzione che dà maggior affidamento e garanzie ai pugliesi. Se non altro in ossequio a quella partecipazione tanto invocata dal Governatore stesso».

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