'Lettera agli italiani come me', e come noi

di FRANCESCO GRECO - “Dell’arrivo ricordo il lungo abbraccio e le lacrime di mia madre…”. In tempi di fetido razzismo, di delirante xenofobia, di paure irrazionali istillate e gestite elettoralmente (basta creare mostri), di depressione sociale (oltre che economica), di marketing politico e quotidiani bombardamenti di fake news destinate a “un’opinione pubblica anestetizzata dagli slogan”, fa bene al cuore e all’umore quotidiano questa “Lettera agli italiani come me”, di Elizabeth Arquinigo Pardo, People edizioni, Varese 2019, pp. 96, euro 9,00, postfazione di Andrea Sarubbi (progetto grafico di Riccardo e Tommaso Catone). 

Elizabeth è una ragazza peruviana, è figlia di un operaio e una badante, è arrivata a Milano nel 2000 (una sorella era già qui e lavorava assistendo gli anziani, poi la famiglia si è ritrovata), ha studiato, si laureata, lavora come mediatrice culturale. Eppure è una “clandestina”, di più, secondo il decreto sicurezza da poco approvato, chissà quando sarà “regolare”, è “prigioniera”, non può manco andare all’estero per un master (è già stata, sempre per motivi di studio, in Maryland e in Grecia). Insomma, Elizabeth è una “invisibile”, come i protagonisti dei romanzi del grande scrittore suo connazionale Manuel Scorza. 

Più che a quel milione di “italiane e italiani senza cittadinanza” (“campioni di pazienza e fuoriclasse del sorriso”), la “seconda generazione”, “alien minors” inclusi, la sua “lettera” è rivolta alla “nuova” politica che li ha criminalizzati (“la faccia feroce che tanto piaceva alle pance degli elettori”), ha intorbidito le acque per assecondare i bassi istinti del proprio elettorato (che non battè ciglio quando Maroni fece passare una sanatoria per colf e badanti necessarie all’equilibrio delle loro famiglie), quasi che, dividendo gli stranieri, come dice Sarubbi (“abbiamo trovato la ricetta facile per riscoprire l’amor patrio”), noi ritrovassimo d’incanto la compattezza di una nazione la cui unità mai è stata metabolizzata. 

“Il pregiudizio si batte solo con la conoscenza”, di Sarubbi. Bisogna guardare alle persone e alle loro storie (alla ragazza di Lima fu negata anche la gita a Londra quando “l’Italia era diversa “ e dove “Molti ci guardavano con curiosità. Altri ci guardavano con disprezzo. Altri ancora con timore”), non ai numeri e alle fantasiose “invasioni” barbariche. Sarà. Ma in tempi appena un po’ normali, un libro come questo aprirebbe un dibattito. 

Ma oggi, nell’Italia che chiude i porti (ma riapre i manicomi) e spiana i centri di accoglienza offrendo manovalanza alla criminalità, le tv son discariche zeppe di rubbish feticista e subcultura, di tuttologi e fregnacciari autoreferenziali che a ogni ora ripetono lo stesso mantra, cantando nel coro con una narrazione infame che un giorno si rivelerà suicida. Non ne parlerà nessuno, come diceva Montanelli “si scrive sull’acqua”. Purtroppo...

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