Dall’Africa ad Altamura. Cronistoria d’una speranza negata


di ROBERTO BERLOCO - Altamura. Un prossimo che, giunto d’assai lontano, nuotando tra i flutti come sul punto d’annegare, tende la mano a chiedere aiuto. Potrebbe essere questa la rappresentazione maggiormente calzante per  una figura sempre più ricorrente nelle cronache degli ultimi anni, meglio nota sotto il termine di migrante.

Pane quasi quotidiano per i media, la questione di masse umane provenienti in gran parte dal continente nero, ovunque affrontato nel contesto italiano, tende immancabilmente ad accendere divisioni tra l’opinione pubblica, innescando non di rado vivaci polemiche nell’interpretazione del principio dell’accoglienza e chiamando in causa energie abbondanti da parte dei partiti, consapevoli di quanto peso abbia il fenomeno in causa sulla bilancia del consenso elettorale.

Ad Altamura la parola migrante ha preso a circolare nelle case attraverso i servizi dei telegiornali, con le commoventi immagini di barconi strapieni di uomini, donne e bambini, in balìa delle onde di un mare solitamente impietoso con chi l’affronta armato solo del coraggio della disperazione. 

Esseri spinti alla fuga verso le coste del Mediterraneo, a ragione della fame o di guerre civili nella propria patria africana, che hanno lasciato sfidando la fatica d’un lungo viaggio e le umiliazioni di mediatori senza scrupoli, pronti per soldi a profittarsi del loro sogno d’una terra promessa che li traesse in salvo per sempre.

La tematica s’è fatta via via più familiare alla popolazione federiciana con la notizia del crescendo di loro acquartieramenti in varie regioni dello Stivale, ospitati a spese dello Stato in stabili del demanio o in convenzione con privati. 

Fino a che, ai primi di Dicembre del 2016, dal movimento “Noi con Salvini”, localmente capeggiato da Rossano Sasso, giunge la prima voce sul sopraggiungere di centocinquanta di essi in paese. Più che una voce, però, si tratta di un vero e proprio campanello d’allarme, prima che l’immagine di quest’umanità in cerca di speranza si tramuti in realtà a portata d’occhio.

Superata la soglia d’ingresso del 2017, a distanza d’un paio di mesi, di fronte al dato sempre più probabile di almeno cento unità all’orizzonte, selezionati attraverso i criteri del cosiddetto “S.P.R.A.R.” (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), i Leghisti altamurani elevano la prima seria barricata, promuovendo una raccolta di firme da presentare al sindaco di allora Giacinto Forte e all’intero Consiglio comunale. Basandosi sulle disposizioni dello statuto, confidano che questa petizione convinca almeno un quinto dei consiglieri, il minimo richiesto dalla normativa, a proporre un referendum consultivo che permetta alla cittadinanza d’esprimersi sulla prospettiva di accogliere il gruppo in arrivo.

Tra i lamenti levati dai Salviniani nostrani a fondamento dell’intrapresa ci sono anzitutto quelli attinenti alla sicurezza collettiva, ma presto vi s’aggiungerà, espressa da Nicola Fedele Loizzo, all’epoca consigliere di Maggioranza, anche l’ira che, al di là delle rassicurazioni istituzionali, le premure verso questi “clandestini”, tenuti distinti dalla categoria dei rifugiati politici, possano compromettere alcuni diritti fondamentali della comunità, primo fra tutti quello all’utilizzo di soluzioni immobiliari che avrebbero potuto essere riservate a concittadini in necessità urgente d’abitazione. 

Questo perché, secondo un’accesa ricostruzione sempre del Loizzo, qualche anno addietro, dallo stesso Municipio, era stata inviata una missiva in Prefettura con la quale si faceva richiesta di moduli abitativi per far fronte allo stringente bisogno d’un tetto per una sessantina di famiglie del luogo. Una richiesta cui la legazione del Governo, proprio la stessa che avrebbe poi provveduto ad un alloggio per i richiedenti asilo del caso, avrebbe risposto con le picche d’una propria incompetenza in materia.

In realtà, l’unica alternativa per opporsi alla distribuzione configurata mediante lo “S.P.R.A.R.”, meccanismo che prevede l’accettazione comunque volontaria da parte delle Amministrazioni civiche, parrebbe quella d’esporsi al rischio dell’imposizione coatta d’una quantità d’immigrati che potrebbe finire per essere anche maggiore di quella inizialmente proposta.

Ed è proprio tale eventualità che Forte oppone alla pressione di respingere gli arrivi annunciati, finendo per incassare appoggi dall’interno della propria Opposizione.

La fronda più risoluta viene espressa  dai “Giovani Democratici”, costola giovanile del “Partito Democratico”.

“Il referendum” - si legge tra le righe d’un loro testo diffuso all’indomani dell’iniziativa dei proseliti di Matteo Salvini - “mira ad alimentare un clima di paura e ostilità, senza informare sulle modalità di accoglienza e sul piano nazionale previsto. Ci risulta incomprensibile credere a priori che questi individui, dopo aver rischiato di morire pur di arrivare in Europa, mettano in pericolo la sicurezza pubblica. E’ insensato parlare d’invasione, quando si tratta di centocinquanta persone a fronte di settanta mila abitanti”.

“Quanto all’emergenza abitativa” - dichiara oggi il segretario cittadino dei “G.D.” Alessandro Cornacchia - “ancora è un problema. In questo momento posso solo dire che, nel programma di Rosa Melodia, l’edilizia residenziale pubblica è contemplata”.

Non saranno, tuttavia, i moniti sulla sicurezza né le esigenze dei residenti in maggiore difficoltà, a pesare sulle scelte del governante municipale, di fatto costretto al senso unico della decisione di concedere spazio vitale per un centinaio di queste creature dalla pelle d’ebano durante l’ultima decade di Maggio, dentro un caseggiato in via Bresso.

Né ad influire sulla finale determinazione del primo cittadino alla costituzione di un “C.A.S.” (Centro di Accoglienza Straordinaria) nel proprio territorio, sarà il sommarsi delle posizioni di altri partiti, come “Unione di Centro”, “Primavera Italia” e “Popolo Idea e Libertà”, tutti decisamente ostili verso i nuovi arrivi, al punto da sottoscrivere un documento dove marcano come di queste genti “nessuno conosce la provenienza, lo stato di salute e la pericolosità sociale”.

Ai primi di Giugno i Leghisti domandano pubblicamente lumi sul numero effettivo degli extra comunitari complessivamente destinati al suolo altamurano, sollecitando di “istituire un posto fisso di polizia in via Bresso e di emanare una ordinanza anti-accattonaggio per evitare il sorgere del racket dell'elemosina".

Ad Autunno inoltrato prende corpo un’ipotesi di chiusura del “C.A.R.A.” (Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo) di Bari Palese, con seguente prospettiva d’uno smistamento dei suoi ospiti in città dell’entroterra barese, tra le quali Altamura. Ad inizio di Novembre un tempestivo incontro nel capoluogo di regione tra il Prefetto Marilisa Magno e il responsabile pugliese della fazione salviniana Sasso, su sollecitazione di quest’ultimo, sembra comunque portare alla chiarezza di escludere il trasferimento di ulteriori centinaia di migranti nella Leonessa delle Puglie. Anche se, nella stessa occasione, dal movimento dell’erede politico di Umberto Bossi, si chiede di tenere comunque alta “la guardia”, spiegando che l’aggregato in paese “non ha iniziato alcun percorso di integrazione, non seguono corsi di lingua italiana, passano le giornate a bighellonare davanti ai bar e ai supermercati”.

Ma di legna per il fuoco della situazione se ne trova pure con l’anno seguente, quel 2018 nel quale sarà inaugurato il primo Governo nazionale partecipato anche dai Cinque Stelle. L’uno di Marzo, dalle puntuali sirene leghiste s’apprende della prossimità di circa tremila ulteriori profughi nel Barese, di cui trecento ad Altamura. Secca ed immediata la smentita del commissario prefettizio Vittorio Lapolla, di stanza presso il municipio in seguito alle dimissioni in Febbraio dell’insegnante Forte dal ruolo di sindaco. L’alto funzionario bolla la notizia come “assolutamente priva di qualsiasi fondamento”. Di rimando, il coordinatore Sasso ne documenterà la veridicità chiamando in causa un bando pubblico, emesso diverse settimane prima proprio dalla Prefettura.

Tre giorni appresso si avvia la chiamata alle urne per il rinnovo del Parlamento. Il segretario regionale della lista “Noi con Salvini” - ora, però, tornata alla denominazione originaria di “Lega” - risulterà eletto Deputato della Repubblica.

Da questo momento, fuor d’un richiamo tra gli impegni elettorali per le Amministrative di qualche mese dopo, e come si ricava dall’assenza di note o comunicati a mezzo di stampa o anche dai canali ufficiali che illustrano periodicamente le attività dei Salviniani, sembra allentarsi la corda dell’abituale dedicamento alla specifica vicenda degli stranieri domiciliati nel centro di via Bresso.

Oggi questo è chiuso. Ha serrato i battenti sul finire dell’Estate scorsa e non per effetto delle locali pressioni leghiste. La ragione sta nel fatto che la cooperativa che lo gestiva, non ha più potuto garantire i requisiti necessari per l’affidamento del servizio.

D’altra parte gli espatriati di colore sono rimasti, provenienti da analoghe strutture situate in altre località dell’area barese. Vengono ad Altamura solitamente in treno, per poi raggiungere e presidiare gli ingressi di empori o di caffetterie di gestori con qualche grammo di cuore in più.

Prima di far ritorno alle loro dimore, trascorrono buona parte della giornata lì, chiedendo la carità d’una monetina. Quando la ricevono, ringraziano e salutano calorosamente. Che quel danaro, poi, rimanga ad essi o venga versato in un qualche circuito illegale parallelo, non è dato ancora di saperlo. Di certo sta che non mancano cittadini lesti a donare gli ultimi spiccioli rimasti dopo una spesa. Un sostegno assai modesto che s’aggiunge a quello della diaria giornaliera, poco più di due euro.

Di fronte al dato della mancanza ormai d’un centro di accoglienza, ma pure all’altro della presenza d’immigrati in paese, “la nostra linea è sempre la stessa, fondata sul rispetto del Decreto Sicurezza” - dichiara Onofrio Gallo, unico consigliere comunale altamurano della “Lega”, in carica dal 10 di Giugno dell’anno passato e, in precedenza, con un seggio in dote a “Fratelli d’Italia”.

Tuttavia specificando, relativamente al periodo compreso tra la sua elezione e la chiusura del sito di via  Bresso, di non aver prodotto “interpellanze che lo riguardino”.

Con l’oltranza dei “porti chiusi” attuata dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, una strategia di sostanziale completamento all’azione di freno alle partenze esercitata in terra libica dai punti di raccolta a gestione governativa, la problematica parrebbe aver ricevuto un risvolto definitivo che, ancor adesso, non manca di produrre echi di approvazione come di sdegno.

E che l’argomento sia rimasto attuale, malgrado l’arresto sostanziale del grosso dei flussi dai lidi africani soprattutto, lo dicono le agitazioni di pensiero e di protesta che continuano a fioccare intorno all’agire del titolare del Viminale fin dal suo insediamento.

Senza contare le energiche impugnazioni da parte della Chiesa cattolica, partendo proprio dal suo apice, quel Santo Padre che, in quell’umanità allo sbaraglio tra i marosi, continua a vederci padri, madri, fratelli, sorelle e figli da amare e servire secondo i comandamenti del Cristo. 

In un messaggio più recente, contenuto in un passaggio della sua prefazione al volume “Luci sulle strade della speranza”, Papa Francesco afferma che “le migrazioni arricchiscono le nostre comunità”. Una visione che è appena un ritorno al tema, considerando le trascorse e copiose dichiarazioni da parte del Pontefice in favore del popolo dei migranti. Tutte tese a rivendicare il principio dell’umana dignità, sempre più in uno stato pericolante, quasi che gli intendimenti della solidarietà e della tolleranza, pur tipici della società italiana, facciano sempre più fatica a trovar il risvolto di atti condivisi.

Intanto, dalle più recenti vicissitudini tripolitane, con i venti di guerra civile che rischiano di tramutarsi in un tifone distruttore per il Governo della Libia riconosciuto legittimo dalle Nazioni Unite, affiorano segnali d’inquietudine circa un possibile esodo di altre centinaia di migliaia di ultimi verso le coste italiane ed europee. Un segno, forse, d’un destino che non ha voglia di arrendersi, la mano d’un uomo morente ma ancor vivo che riemerge dalle acque, le stesse che, fra non molto, andranno ad allietare i divertimenti di bagnanti in vena di godersi le agognate vacanze.

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