Papà fantasma condannato a pagare al figlio un risarcimento di 66 mila euro


LECCE - Non ci sono limiti per agire contro un padre assente che non si è mai preoccupato del proprio figlio. Gli incontri sporadici non colmano il vuoto nella personalità che si crea in chi è costretto a vivere con un solo genitore. E questa mancanza, per quanto incolmabile, può essere rimediata solo con un lauto risarcimento. Risarcimento che il papà fantasma dovrà pagare. Via libera quindi alla richiesta di risarcimento del danno contro il padre assente da parte del figlio. In questi casi spetta al papà o la mamma che non adempie gli obblighi di mantenimento, istruzione, educazione e assistenza costituiti a suo carico dalla legge a risarcire i danni: il disinteresse verso la prole determina nel discendente un disagio morale oltre che materiale, dal quale scaturisce una serie di conseguenze pregiudizievoli con rilievo anche economico. 

La notizia arriva dalla terza sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 14382/19, pubblicata il 27 maggio. Diventa definitiva la condanna inflitta all’uomo: pagherà quasi 67 mila euro di risarcimento alla figlia. Inutile per lui accusare la madre della ragazza di non aver preso atto dei problemi comportamentali dell’adolescente, sollecitando l’intervento dell’altro genitore. Per il solo fatto di averlo messo al mondo, il genitore ha nei confronti del discendente l’obbligo di mantenimento, istruzione, educazione e assistenza: la responsabilità dell’inosservanza non può ritenersi esclusa o ridotta dall’eventuale scorretto adempimento dall’altro genitore. E nella specie il padre non propone comunque azione di rivalsa o regresso nei confronti della madre. Né l’uomo, che pure si riconosce come «assente» dalla vita della figlia, può pretendere che sia il genitore convivente o comunque più presente a farsi carico di tutti gli obblighi di assistenza. I quali, ad esempio, gravano sul genitore naturale anche se non ha riconosciuto il figlio: a maggior ragione valgono per chi senza ragione si sottrae all’adempimento, con l’intera responsabilità delle conseguenze.

Al padre non si addebita, in particolare, di aver negato alla figlia i soldi per continuare gli studi all’università: si imputa invece in termini più generali di non aver sostenuto la ragazza, togliendole serenità al punto da frenare lo sviluppo della personalità. E l’abbandono del percorso formativo è stato soltanto una delle conseguenze, che tuttavia ha certamente precluso alla figlia una serie di possibilità di realizzazione professionale: legittima la liquidazione del danno da perdita di chance secondo il criterio equitativo ex articolo 1226 Cc. All’uomo non resta che pagare anche le spese di giudizio e il contributo unificato aggiuntivo. Un provvedimento della Cassazione, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, di quello che dovrebbe far tremare tutti i padri di coppie divorziate che, dal momento dell’addio alla casa coniugale, non hanno adempiuto ai loro obblighi settimanali di visita.

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