Libri: Il dialetto nell’Italia unita


di VITTORIO POLITO - La Carocci editore ha pubblicato recentemente per la Collana “Studi Superiori”, il volume di Nicola De Blasi “Il dialetto nell’Italia unita – Storie, fortune e luoghi comuni”.

«Il dialetto - scrive Francesco Granatiero - non è una parola di cui vergognarsi, è una lingua parlata locale, una lingua senza potere economico-politico-militare, ma con una dignità, una civiltà, una cultura e, per chi lo ha succhiato con il latte materno, il senso profondo dell’esistenza e degli affetti più cari, la lingua-madre madre delle lingue, il sussulto della terra che parla, l’oralità che precede la scrittura e la grammatica».

La vicenda postunitaria dei dialetti è raccontata, nel libro di De Blasi, come storia di una crisi definitiva imposta da decisioni politiche e dalla scuola, che avrebbe anche etichettato il dialetto come «malerba dialettale». In realtà, proprio dall’Unità in poi il dialetto ha conquistato nuovi spazi nella letteratura, nel teatro, nella canzone, nel cinema e perfino nei testi scolastici fascisti, mentre alla «malerba dialettale» accennò una volta sola, nel 1903, il critico letterario Pietro Mastri, infastidito dal clamoroso successo dei poeti dialettali. In alternativa alle idee correnti, in questo libro si osserva che i dialetti vanno in crisi all’epoca del boom economico, quando il mondo cambia radicalmente, con l’abbandono delle campagne, con le migrazioni interne e con il mutamento delle dinamiche comunicative tradizionali. Nonostante tutto, però, i dialetti sono ancora usati e conoscono anche una rinnovata fortuna.

Il testo, diviso in tre parti, tratta vari argomenti sul dialetto: tra i luoghi comuni, la continuità dialettale fino a metà Novecento, il boom economico e la crisi dei microcosmi dialettali, le fortune postunitarie del dialetto, dialetto e libri di scuola durante il fascismo, scorci dialettali della letteratura contemporanea, tutela dei dialetti e poesia come prova empirica della molteplicità dei dialetti.

A proposito di poesia e dialetto, Gaetano Bucci, docente, scrittore e poeta, scrive: «Sono ancor più convinto che i dialetti abbiano un’anima, ovvero una pregnanza linguistica e una forza evocativa e significativa. Tentare di fare poesia “profonda” è una forma di resistenza alla omologazione linguistica e alla riduzione in minorità dei vissuti popolari».

Mentre, secondo Pietro Trifone, professore di Storia della lingua italiana nell’Università di Roma “Tor Vergata”, «sembra prematuro il “de profundis” dei dialetti che viene spesso intonato in memoria delle parlate locali. La “prepotente italianizzazione” dei dialetti che De Mauro registrava nel 1963 ha anzi smussato i suoi artigli: secondo i dati Istat del 2006, infatti, circa un italiano su due continua tranquillamente a utilizzarli, per lo più in alternanza con la lingua nazionale, quando si rivolge a familiari e amici, e uno su quattro non smette di servirsene anche negli scambi con estranei. Il dialetto era del resto il mezzo espressivo di cui si avvalevano anche cittadini eminenti in circostanze ufficiali: lo stesso Vittorio Emanuele II, il primo re della nuova Italia, ricorreva al piemontese praticamente in ogni occasione”.

Nicola De Blasi, professore ordinario di Storia della lingua italiana e di Dialettologia italiana dell’Università “Federico II” di Napoli, ha pubblicato diversi testi e saggi su argomenti similari e storici.

Il testo è corredato da una nutrita bibliografia.
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