di VITTORIO POLITO - Per prostituzione si intende l’attività abituale e professionale di chi offre prestazioni sessuali a scopo di lucro. Si tratta di un fenomeno antico, ma che ha avuto cambiamenti interessanti dal punto di vista sociologico, semiologico, psicodinamico, fenomenologico e della psicologia sociale.
La prostituta si sottopone a rapporti con diversi individui, generalmente senza partecipazione al piacere. È certo che alcune cause possono essere responsabili di una prostituzione occasionale, o possono favorirla, come l’ambiente, la famiglia, la miseria, ostacoli di varia natura, ecc.
A me piace riprendere una nota di Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), riportata sul periodico “Nicolaus Studi Storici” del 2006, nel quale l’autore tratta l’argomento riferito al XII e XVI secolo, citando una pergamena datata 20 novembre 1267, conservata nell’archivio capitolare di Bari, nella quale è inserita una disposizione con la quale il principe Boemondo concesse all’Arcivescovo Elia, nonché ai suoi successori, il dominio su tutte le meretrici, come già accordato all’arcivescovo Ursone, da Roberto il Guiscardo, dal Duca Ruggero e dalla Duchessa Sikelgaita. Il dominio, non poteva che consistere nella guida spirituale di “quelle sventurate donne e anche nella riscossione di qualche diritto fiscale sui guadagni delle stesse realizzati nell’esercizio del loro turpe mestiere”.
Nel 1598, da un “apprezzo” o catasto che comprendeva le generalità di tutti i cittadini baresi con l’indicazione dell’attività esercitata, si evinceva che su 17000 abitanti risultavano solo 9 donne che esercitavano l’attività di cui sopra. La qualifica loro attribuita era di “mulier libera” (donna o moglie libera). A giudicare dall’età giovanile della maggior parte di esse (puntualmente indicata), lascia immaginare che si trattava di persone costrette a prostituirsi per la miseria più nera.
Sta di fatto, comunque stessero le cose, che la piaga della prostituzione si diffuse nei più disparati settori della società barese, come dimostrano i numerosi documenti storici archiviati.
A tal proposito ricordo che Nicola Simonetti, medico e giornalista, e Mimma Sangiorgi, pubblicarono nel 2014, per l’editore Adda, l’interessante volume “Cose di case chiuse”, nel quale gli autori passano in rassegna i vari aspetti della questione attraverso la storia, a partire dall’antica Roma, transitando per Pompei, gli ebrei, i postriboli di Stato, le prostitute di guerra, la prostituzione via internet e quella delle immigrate, la legislazione in altri Stati, e tantissime altre notizie storiche e di cronaca che illustrano al lettore molto bene l’argomento sviscerato da tante angolazioni.
Va considerato che l’industria del sesso nasconde anche fenomeni allarmanti, come l’aumento di minori e baby squillo, di donne mature o meno, costrette per bisogno a prostituirsi – come denuncia il Gruppo Abele Don Manzi – per sostenere la famiglia in tempi di crisi. Se si vuole eliminare il problema, scrivono gli Autori, «non basta sottrarre alle leggi del mercato l’offerta, bisogna incidere sulla domanda proveniente da clienti: 77% sposati per lo più di ceto alto (56%) e nella fascia d’età compresa tra i 40 e 55 anni (43%)».
La prostituta si sottopone a rapporti con diversi individui, generalmente senza partecipazione al piacere. È certo che alcune cause possono essere responsabili di una prostituzione occasionale, o possono favorirla, come l’ambiente, la famiglia, la miseria, ostacoli di varia natura, ecc.
A me piace riprendere una nota di Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), riportata sul periodico “Nicolaus Studi Storici” del 2006, nel quale l’autore tratta l’argomento riferito al XII e XVI secolo, citando una pergamena datata 20 novembre 1267, conservata nell’archivio capitolare di Bari, nella quale è inserita una disposizione con la quale il principe Boemondo concesse all’Arcivescovo Elia, nonché ai suoi successori, il dominio su tutte le meretrici, come già accordato all’arcivescovo Ursone, da Roberto il Guiscardo, dal Duca Ruggero e dalla Duchessa Sikelgaita. Il dominio, non poteva che consistere nella guida spirituale di “quelle sventurate donne e anche nella riscossione di qualche diritto fiscale sui guadagni delle stesse realizzati nell’esercizio del loro turpe mestiere”.
Nel 1598, da un “apprezzo” o catasto che comprendeva le generalità di tutti i cittadini baresi con l’indicazione dell’attività esercitata, si evinceva che su 17000 abitanti risultavano solo 9 donne che esercitavano l’attività di cui sopra. La qualifica loro attribuita era di “mulier libera” (donna o moglie libera). A giudicare dall’età giovanile della maggior parte di esse (puntualmente indicata), lascia immaginare che si trattava di persone costrette a prostituirsi per la miseria più nera.
Sta di fatto, comunque stessero le cose, che la piaga della prostituzione si diffuse nei più disparati settori della società barese, come dimostrano i numerosi documenti storici archiviati.
A tal proposito ricordo che Nicola Simonetti, medico e giornalista, e Mimma Sangiorgi, pubblicarono nel 2014, per l’editore Adda, l’interessante volume “Cose di case chiuse”, nel quale gli autori passano in rassegna i vari aspetti della questione attraverso la storia, a partire dall’antica Roma, transitando per Pompei, gli ebrei, i postriboli di Stato, le prostitute di guerra, la prostituzione via internet e quella delle immigrate, la legislazione in altri Stati, e tantissime altre notizie storiche e di cronaca che illustrano al lettore molto bene l’argomento sviscerato da tante angolazioni.
Va considerato che l’industria del sesso nasconde anche fenomeni allarmanti, come l’aumento di minori e baby squillo, di donne mature o meno, costrette per bisogno a prostituirsi – come denuncia il Gruppo Abele Don Manzi – per sostenere la famiglia in tempi di crisi. Se si vuole eliminare il problema, scrivono gli Autori, «non basta sottrarre alle leggi del mercato l’offerta, bisogna incidere sulla domanda proveniente da clienti: 77% sposati per lo più di ceto alto (56%) e nella fascia d’età compresa tra i 40 e 55 anni (43%)».