Xylella, a quando lo stato di calamità naturale?

(ANSA)
di FRANCESCO GRECO - E dire che Zaia l’avrebbe già fatto, e non da oggi. Anche Fedriga, Fontana e Toti, probabilmente. Mica si sarebbero incartati in fumosi dibattiti ideologici e metafisici (fascismo-antifascismo), fra sesso degli angeli, lana caprina e capello spaccato in quattro di scuole ciniche e cirenaiche. I loro cittadini non glielo avrebbero permesso.

Cos’avrebbero fatto? Ma chiedere lo stato di calamità naturale per il disastro biblico della xylella, ovvio. Se il batterio killer avesse colpito le dolci colline friulane e venete, le assolate Cinque Terre o la Pianura Padana. Siamo dinanzi a un’epidemia di peste, colera, lebbra: un terremoto devastante.

Una filiera si svuota, una terra ricca si impoverisce e si abbrutisce nel paesaggio e nell’economia, mentre l’anarchia regna sovrana (ognuno fa di testa sua: sradica e reimpianta senza alcun coordinamento, all’italiana) e tutto si risolve nell’assistenzialismo ai soliti noti, negli innesti e reimpianti di specie che si suppongono resistenti al batterio killer (e se non lo fossero?).

Sempre che si abbia l’acqua per accudire le piante. Chi ne ha migliaia non soffre come chi ne possiede solo qualche decina, chi ha ricevuto in eredità l’uliveto dagli avi, o se lo è comprato a prezzo di enormi sacrifici emigrando nel mondo. E meno male che ci sono sperimentalismi di privati cittadini, se si aspettano quelli istituzionali… La terra è passiva – almeno per i piccoli conduttori di particelle - si investe senza ritorno. Non vale più niente, non ha mercato, non la vuole nessuno, figli compresi, la si abbandona con rabbia.

La filiera, si diceva: i meccanici di macchine agricole stanno a braccia conserte sulla porta delle officine. I rimondatori oziano in piazza. I frantoi aprono a singhiozzo e i “nachiri” sono disoccupati, le aziende del settore riducono gli addetti. Meno teli di plastica, meno concimi e anche meno veleni (meno male). La legna invece c’è, purtroppo, e l‘eccessiva offerta ha abbassato il costo (da 14 a 8 euro al quintale). Meno olio di Terra d’Otranto sui mercati (si dice il 90%).

Somma beffa: anche chi ha 100-200 piante deve comprarlo al centro commerciale (senza sapere cosa mette davvero nel carrello). Da produttori a consumatori: una trasformazione antropologica. Curiosamente, il prezzo dell’olio è crollato: non per fare dietrologia, all’italiana, ma cosa c’è dietro? 

E dire che un tempo – nel Novecento contadino - sia aspettava “l’entrata” (il carico di ulive) per maritare una figlia o fare la casa (il rustico) al figlio. Ha vinto l’ideologia, purtroppo: quando scoppiò la peste, per non abbattere poche centinaia di piante infette, ce le siamo tenute feticisticamente: risultato, ora il Salento è tutto infetto.

All’epoca si tirarono in mezzo valori alti, con la “v” maiuscola: identità, memoria, radici. Che sono presenti ma doveva prevalere un senso di sano realismo. Se una pianta è malata cosa puoi fare se non abbatterla? Invece vinse il masochismo, un feticismo fuori luogo annebbiò lo sguardo. Mentre continuiamo ad avvelenare i campi spargendo monnezza d’ogni sorta.

E’ tutta una terra che si impoverisce, per cui la politica locale deve chiedere al governo centrale lo stato di calamità naturale e indennizzare tutti, orizzontalmente, anche il giovane rimondatore disoccupato che deve mantenere la famiglia e il frantoiano che sta a casa con moglie e figli.

La ministra Teresa Bellanova, responsabile delle Risorse Agricole, già “bracciante agricola”, per dire, non “vede” la xylella e i distese di campi spettrali, da film horror, pur essendo nata a Ceglie Messapica (Br) e avendo fatto, appunto, la “bracciante agricola”, come ha detto ai “coltivatori ovini” (così li ha chiamati) della Sardegna.

Da Italia viva a Italia morta… Si è precipitata a chiedere lo “stato di eccezionale avversità atmosferica” per le piogge di questi giorni per l’Emilia Romagna (dove, guarda caso, si vota a gennaio 2020), indicando nel “Fondo di solidarietà nazionale” il salvadanaio dove attingere risorse. 

Eppure, dichiarare lo stato di calamità naturale per Terra d’Otranto sarebbe un atto dovuto. Oltre che un atto d’amore per la propria terra. Luca Zaia l’avrebbe fatto da chissà da quando (lo fa per Venezia sott’acqua), perché fa l’interesse dei veneti, ma noi quelli che amano la loro terra e la difendono e si battono per i diritti dei loro cittadini li disprezziamo come fossero poveri lebbrosi, miserabili untori, li chiamiamo con sprezzo sovranisti…
Nuova Vecchia

Modulo di contatto