“Invictus”, il rugby contro il razzismo

di VALTER CANNELLONI - Politica e sport: un binomio indissolubile che, nel corso della Storia, ha provocato anche nefandezze inenarrabili. Basti pensare alle Olimpiadi di Berlino del 1936, volute da Adolf Hitler per esaltare la superiorità della razza ariana, o ai Giochi olimpici di Mosca del 1980, boicottati in blocco dalla squadra statunitense per protestare contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan.

Ma binomio che ha scritto anche pagine di alti valori umani e di vero idealismo: è quest'ultimo il caso di “Invictus”, film diretto e prodotto dal grande regista e attore americano Clint Eastwood, e ambientato in Sudafrica subito dopo i tempi dell'apartheid, con Nelson Mandela eletto Presidente del Paese da pochi giorni.

Il compito che aspetta il neo Capo dello Stato è di quelli improbi: ci sono da garantire le aspirazioni dei neri e bisogna rassicurare i bianchi sul nuovo corso politico, in un Paese squassato e dilaniato da decenni di apartheid.

Gli afrikaneers bianchi, discendenti dei Boeri colonizzatori e i neri figli di mamma Africa ancora si odiano e vedere un Presidente di colore alla guida della Nazione fa storcere il naso a quelli che non l'hanno votato, tanto che qualcuno lo considera ancora un terrorista.

E poi c'è la Nazionale di rugby del Sudafrica, gli Springbooks, espressione dei bianchi e odiata dai neri che, dopo il lungo isolamento dovuto al boicottaggio degli altri Paesi, non ne azzecca più una.

Il verde-oro della sua casacca è il simbolo del potere dei bianchi e il partito di Mandela, tra i primi affari in agenda di governo, propone di cancellare quell'odiato colore e di cambiare nome agli Springbooks. Ma sarà il neo-presidente in persona, con un discorso improntato sul perdono e non sulle meschine vendette, a bloccare l'iniziativa del Partito. Lui vuole una Nazione arcobaleno, in cui bianchi e neri, nello stesso modo e con gli stessi diritti, si sentano parte di un progetto comune e solidale.

Per attuare il suo disegno politico, e per non togliere agli afrikaneers la loro squadra prediletta, Mandela (che i neri chiamano confidenzialmente “Madiba” come titolo di rispetto), intuisce che il rugby può essere un formidabile propellente per la riconciliazione della Nazione e convoca, per un  invito a un thè, il capitano degli Springbooks, Francois Pieenar.

Nel 1995, tra poco più di un anno, si svolgerà, proprio in Sudafrica, la Coppa del Mondo di rugby: la squadra verde-oro è reduce da un'umiliante sconfitta con l'Inghilterra, partita nella quale, come sempre, i neri sudafricani tifavano per la compagine avversaria, preferendo giocare il calcio piuttosto che lo sport dei bianchi.

Nonostante ciò, Mandela fa al bianco capitano Pieenar una richiesta precisa: gli Springbooks dovranno vincere la Coppa del Mondo organizzata in casa.

Nessun commentatore dà una chance di successo ai “Bokke” , come gli afrikaneers chiamano affettuosamente la loro squadra,ma Pieenar, con i suoi verde-oro, si mette al lavoro.

Su precisa richiesta del Presidente, gli Springbooks effettueranno un tour nelle town nere del Paese, per cementare il senso di appartenenza a tutta la Nazione della squadra. I giocatori, che sono tutti bianchi, tranne il nero Chester, si sentono trattati come fenomeni da circo, e protestano un po', ma Pieenar li rimprovera, dicendo loro che le cose stanno cambiando in Sudafrica, e che devono cambiare anche loro.
 
Quando Mandela vede in tv l'entusiasmo di quei ragazzini neri felici dell'arrivo della loro squadra, sottolinea, felice anche lui, come quelle immagini valgano più di cento discorsi del Presidente.
 
Il Mondiale si avvicina: il Sudafrica dovrà affrontare, come primo ostacolo, la temibile Australia. Gli Springbooks, contro pronostico, vincono e battono poi nettamente le Samoa Occidentali.

In semifinale, ci sarà da affrontare la  fortissima Francia. I verde-oro, ancora contro il pronostico di tutti e andando oltre ogni più rosea aspettativa, sconfiggono anche i transalpini sotto un acquazzone impressionante.

Sono arrivati alla finale, ma qui arriva l'osso più duro da rodere. Poichè ci sono arrivati anche i maestri del rugby, i mitici neozelandesi degli All Blacks, capitanati dal fenomenale Jonah Lomu, un “armadio” di 120 chili che corre con la velocità di un centometrista. Mandela, pur sapendo che gli Springbooks hanno già superato ogni più logica previsione, non vuole tuttavia che il trionfo dei suoi ragazzi svanisca sul più bello e partecipa di persona alla finale, che si disputa a Johannesburg, indossando la maglia verde-oro numero 6, quella di Pieenar, con il quale ha stretto un rapporto di virile amicizia.

La partita, iniziata con la consueta “raka” (la danza di guerra dei neozelandesi), termina 9 a 9 dopo i tempi regolamentari: gli Springbooks sono andati anche al di là delle loro forze, pareggiando con i formidabili All Blacks, ma restano i supplementari da giocare.

E qui, con un incredibile “drop” scagliato dal calciatore più forte della squadra, il numero 10 Joel Stransky, gli Springbooks si aggiudicano l'incontro per 15 a 12.
 
Quarantatrè milioni di sudafricani, bianchi e neri insieme, esultano per la vittoria. I neri cominceranno a giocare il rugby, fino a fornire fior di campioni all'attuale Nazionale sudafricana, e il progetto politico di Mandela troverà la sua realizzazione. 

Interpretato da un Morgan Freeman candidato all'Oscar e co-produttore della pellicola, impressionante per la straordinaria rassomiglianza con il vero leader sudafricano (che si è fatto 27 anni di carcere duro solo per aver protestato in favore dei suoi fratelli neri) e da Matt Damon (candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista), perfetto nel ruolo del roccioso capitan Pieenar, il film, più che un inno al “panem et circenses” di latina memoria, è la testimonianza di come lo sport possa essere portatore di valori e ideali edificanti e positivi.

“Il calcio è uno sport di gentiluomini giocato da selvaggi, il rugby è uno sport di selvaggi giocato da gentiluomini”, dice una guardia del corpo bianca del Presidente a una nera, ma quello sport da selvaggi ha costituito, per il Sudafrica, il simbolo del riscatto sociale e della riconciliazione politica di un'intera Nazione.

L'”Invictus” di cui al titolo, è il nome di una poesia vittoriana che Mandela detenuto leggeva con avidità durante la prigionia: e “Invictus” lo era molto anche lui, il grande presidente sudafricano, che seppe conciliare i suoi fratelli neri con i bianchi che li avevano oppressi per un secolo.

Tratto dal romanzo “Ama il tuo nemico”, di John Carlin.
Regia Clint Eastwood, sceneggiatura Anthony Peckam, fotografia Tom Stern, musica Kyle Eastwood e Michael Stevens.
Interpreti: Matt Damon, Morgan Freeman, Tony Kgoroge, Adjoa Andoh. Produzione: Usa e Sudafrica 2009. 
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