E giunse, anche per Altamura, di passar la notte prima di riveder l’alba

di ROBERTO BERLOCO - ALTAMURA. Nulla più come prima. O, forse, chissà, ancor meglio di prima. Non solo perché non v’è tempesta, senza che ne segua una qualche quiete, ma pure perché, nel misterioso intrico di vicende che compongono la storia umana, solitamente i momenti di sofferenza comune, come l’attuale innescato dalla diffusione d’un virus tanto insidioso come il Covid-19, hanno l’effetto di fortificare gli animi, maturandoli ad un senso di previdenza che torni utile per il futuro.

Certo, come non può, il vedere l’intera città, in un preciso giorno di Marzo, di colpo spogliarsi di tutti i suoi abitanti, richiamare da vicino taluni spezzoni di trama del film apocalittico “The Day After”? Nella pellicola del 1983, ambientata negli Stati Uniti d’America e diretta dal regista Nicholas Meyer, a causare l’improvvisa e totale desolazione degli ambienti urbani, era stato un attacco nucleare da parte della Russia sovietica.

E, a quei rari sopravvissuti che si aggiravano per le strade ammutolite dalle radiazioni, un po’ somigliano oggi proprio quei pochi che, a passo lesto, s’intravedono sgattaiolare tra i vicoli del centro federiciano. Per giunta, potendosi incrociare, guardandosi e tenendosi la guardia, con la paura reciproca di rischiare il contagio dal fiato d’un appestato.

Con un decreto del 9 del mese scorso, l’ordine dell’autorità governativa nazionale è di restare in casa. Ed è lì che si rimane, bene al chiuso, quasi con porte e finestre sbarrate, com’è comprensibile che sia di fronte ad un nemico che non bussa prima di entrare e, peggio, può perfino avere il volto d’un amico o d’un buon conoscente, col quale, magari, si è soliti condividere qualche gaio minuto di conversazione davanti ad un caffè.

E si, alla fine si esce anche. Ma solo per andare al lavoro, per chi ne ha uno consentito dalla situazione d’emergenza, oppure per motivi necessitati, principalmente, dal dover acquistare alimenti o medicinali. Ed ogni spostamento va sempre giustificato con anticipo, certificato per iscritto, dimostrato con scrupolo, secondo quello che, in effetti, somiglia in tutto ad uno stato di polizia, considerando le pesanti sanzioni che, per volere del Governo, sono pronte a scattare in caso del più lieve cenno d’insubordinazione.

Passano le settimane e, dentro l’intimo di ciascuno, si combatte l’immobilità forzata in varie maniere. C’è chi, tra sé e sé, si dice che, presto, tutto questo finirà, e si tornerà a vivere come a poco prima che scattassero le misure di contenimento. E se lo ripete ogni giorno, ad ogni risveglio mattutino, poiché il rischio continuamente in agguato è che non sia così, vale a dire che debbano trascorrere tutti i mesi di Primavera o, forse, della stessa Estate, per vedersi finalmente liberati da questo giogo virale.

E c’è chi, invece, dandosi animo, sceglie di non dare al frangente alcun peso di pensiero, adattandosi semplicemente ad un nuovo stile di vita, composto d’una visione casalinga del proprio tempo, al quale si può anche finire per diventar debitori di nuove idee, spunti geniali da accumulare nel cassetto, oppure di progetti rivoluzionari, da ammainare nella cantina delle intenzioni.

D’altra parte, non fu proprio durante un periodo di quarantena che, intorno al 1665, un certo Isaac Newton, tappato nella sua abitazione campagnola di Woolsthorpe, al sicuro dalla peste bubbonica che imperversava nella vicina Londra, ebbe l’intuizione del principio di gravitazione universale?

Dentro il paese, fuor di quattro decessi, non circolano notizie così allarmanti, perlomeno in proporzione a quelle rapportate dai Comuni del Settentrione d’Italia. Ad oggi, infatti, sono complessivamente trentasette gli infetti da coronavirus tra la cittadinanza altamurana, tutti sottoposti alle attenzioni del caso. Insomma, un’inezia rispetto ai numeri conteggiati in altre aree, nulla che faccia pensare ad una catastrofe o a qualcosa di singolare, se non fosse per un dato curioso: di questa quantità infinitesimale, rispetto ai settantamila e passa che sono gli abitanti della città federiciana, una certa piccola parte è rappresentata da agenti di polizia locale, tutt’ora in cura, ai quali bisogna aggiungere la maggior parte del Corpo, rimasta in quarantena fiduciaria sino al 2 di Aprile scorso e, da ieri, nuovamente in servizio.

E, qui, la mente vola alle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, finendo per planare sulla drammatica data del 12 Settembre 1943, quando a Barletta, come rappresaglia ad un attentato condotto con successo contro due soldati tedeschi, furono giustiziati undici vigili urbani, da parte di unità della Fallschirm Panzer Division “Hermann Goring”, in quell’epoca agli ordini del Generale Paul Conrath. L’eccidio, avvenuto davanti all’ufficio cittadino delle Poste, viene ancora oggi ricordato dalle autorità municipali della Città della Disfida, con tutto l’onore che si deve ad autentici martiri della libertà.

Naturalmente, il paragone deve fare i conti con la diversa intensità del pericolo che, nella fattispecie odierna, è mitigato dalla letalità confinata a fasce di età avanzata e con patologie pregresse, ma è fuor di dubbio che corra una sorta di analogia, percepibile a pelle, nell’atto d’immolarsi durante l’esercizio del dovere, nel pagare come un fio per la salvezza di tutta la comunità, tra quel lontano episodio e le sofferenze toccate agli uomini in divisa di via Del Mandorlo.

In questo clima di fatalità che ha sostituito quella mite atmosfera primaverile, che ogni anno, proprio durante gli inizi d’Aprile, faceva ingresso con crescente energia negli animi, invitando ad assaporare la prima libertà di godere d’un creato sempre più a festa, non mancano tuttavia atti che sembrano quasi voler ricordare che l’umanità tiene un senso soprattutto in momenti come questo.

Silenziosi, quasi inosservati, come nel caso dell’opera della Caritas diocesana, alla quale convergono anche i donativi in danaro per mano nascosta di tutti coloro che non dimenticano la parte più debole della città, in queste ore più che mai, stremata dall’impossibilità, necessitata dalla quarantena forzata, a poter lavorare come di consueto. Oppure, come negli altri due casi, quello dell’Anpana, la sezione altamurana delle Guardie Ecozoofile, e quello della Team Altamura, la squadra locale di calcio, le cui sedi sono state messe a disposizione di chiunque intenda destinare cibarie e beni di necessità ai bisognosi, che si moltiplicano in questo triste periodo, a causa del venir meno dei normali canali di reddito.

Probabilmente, poi, non passeranno mai alla storia delle grandi cronache episodi muti e minuscoli, come quello del faldone di plastica contenente moduli di autocertificazione in bianco, esposto da un parrucchiere del quartiere Montecalvario davanti alla propria saracinesca chiusa, pochi giorni dopo le restrizioni decise dal Governo, e accompagnato solo da un biglietto con un invito scritto al senso di responsabilità collettiva.

E non faranno rumore, neanche, le tante iniziative di alcuni imprenditori del luogo, tra cui quella di una loro cordata che si è caricata sulle spalle l’onere dell’esborso necessario all’acquisto di abbigliamento tecnico, quattro pompe infusionali e un videolaringoscopio, tutto necessario medicale indirizzato al padiglione “Asclepios” dell’Ospedale Covid-19 del Policlinico di Bari.

Magari, scivolerà sott’occhio pure lo sforzo di alcuni gestori di supermercati cittadini, a predisporre la distribuzione gratuita di guantini di protezione all’ingresso dei loro punti o, addirittura, a stipendiare un vigilante privato solo per garantire l’ordinato afflusso dei clienti dall’esterno.

Infine, saranno sempre in troppo pochi a sapere quel che accade in via Legnago, dove uomini e donne, ma donne soprattutto, si affacciano da casa, ciascuno nel proprio balcone, puntuali alle 17 d’ogni giorno, per recitare assieme il Santo Rosario e invocare l’intervento della Madonna per porre fine a quest’ombra di tormento calata sull’abitato.

Eppure, quella loro voce che, fatta una nell’atto di preghiera, si leva quotidianamente verso l’alto, sembra echeggiare idealmente tutt’attorno, spandendosi fin quasi ad esser raccolta in piazza Raffaele Laudati, appena quattro isolati appresso, dove una statua dedicata a Sant’Annibale di Francia sta lì, come a voler farsi tramite ultimo d’una richiesta di grazia rivolta al cielo. E, intorno a lui, che fu padre amorevole per l’infanzia abbandonata, in quei due fanciulli che gli si fanno stretti con affetto di figli, sembra volersi impersonare la popolazione altamurana smarrita dall’incognita di questo tempo, in cerca d’una via rapida ed efficace all’angoscioso vivere di giorni che, sempre più, furono d’una Primavera mai stata.






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