Se il Dio della penna fa sciopero

(Pixabay)
BENNY MANOCCHIA - Un mio caro amico, giornalista americano che lavora al New York Times, mi ha confessato che nella testata newyorkese, in questo momento, bolle l'ira di molti suoi colleghi (sono centinaia). Forse il capo ha cambiato un titolo? Oppure ha tagliato un"pezzo" senza parlarne prima con l'autore?Che cosa avrà pur fatto il direttore per creare la possibilità di uno sciopero?

Ebbene, si tratta di una cosa vera, per la quale chi scrive sul Times non sente ragione.Lo avrete capito: si tratta del dio dollaro. Quella moneta che le penne del Times trattano apertamente (e difendono) nei loro articoli. Per loro, il giornale chiude e va in edicola soltanto se chi ha scritto le righe è soddisfatto. Un po' per l'eventuale pacca sulla spalla (rara) del cief, molto di più se il suo salario segue l'aumento costi giornaliero (specialmente a Manhattan, dove ho vissuto per molti anni). Il giovane alle prime armi al Times ha un salario di 130mila dollari .

Più sali i gradini più arrivi ai 220 mila dollari, per raggiungere i picchi di chi scrive poco ma - dicono - fa vendere tante copie, ma proprio tante. E allora siamo ai 400 mila ogni anno con due mesi di ferie. Ora, secondo voi, chi di questi pretende un salario più vistoso? Scommetto che direte: il giovane che intasca soltanto 130 mila dollari. Sbagliate. II signore del quasi mezzo milione pretende di più. E forse penserete: fate pure lo sciopero,vediamo che cosa succede. Vi sbagliate nuovamente. Il padrone del giornale aumenterà il salario dei pochi ma buoni tanto poi bloccheranno il pezzo del "migliore" dopo poche righe e se volete leggere le parole del dio della penna, dovrete pagare, ora, anche 2 dollari. E scusate se e' poco.
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