'La regina degli scacchi': la recensione

FREDERIC PASCALI - La nostra percezione della vita è molto spesso ispirata da suggestioni che ne ricollocano continuamente l’orizzonte prospettico. Un po’ quello che accade per “La regina degli scacchi”, la serie del momento ideata da Allan Scott e Scott Frank che ne firma anche la regia.

Il prodotto è un’affascinante opportunità di guardare la realtà con il cipiglio tipico della favola, forse il segreto principale di un successo strepitoso che accomuna i due protagonisti della storia: Beth Harmon, la giovane prodigiosa campionessa, e il gioco degli scacchi.

Tratto dal romanzo scritto con qualche sfumatura autobiografica nel 1983 da Walter Tevis, il lavoro di Scott e Frank si concentra sulla vicenda di un’orfana, Beth, che grazie ai primi insegnamenti del custode dell’istituto che la ospita scopre il suo incredibile talento. Nel suo difficile percorso di emancipazione trova negli scacchi il grimaldello per affermarsi come donna e come individuo.

Ambientata tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, “La regina degli scacchi”, avvalendosi della super consulenza dell’ex campione del mondo Garry Kasparov, si cimenta su di un canovaccio che sembra voler ripercorrere al femminile, almeno in parte, alcune delle vicende della folgorante carriera e travagliata esistenza del grande campione americano Bobby Fischer.

Invero, nella sceneggiatura la nostra eroina lotta con i suoi dubbi, con le sue fragilità, con la sua trasformazione in adulta senza mai riuscire nel suo incedere a trasmettere l’impressione di tradurre le dinamiche di un mondo reale.

Circoscritto in una dimensione mediana tra un teen movie e un fantasy, il lavoro diretto da Frank, magnificamente fotografato da Steven Meizler, estremamente curato nei costumi a cura di Gabriele Binder, nel raccontare la storia di Beth finisce per rendere un grande omaggio al gioco degli scacchi.

L’azione della macchina da presa, quasi sempre espressione di movimenti eleganti e classici, si concretizza in efficaci inquadrature che valorizzano, e semplificano, ogni istante del gioco fino a conferirgli un’aurea quasi magica.

Uno spot clamoroso che fa chiudere un occhio sulle iperboli, accatastate qua e là nel racconto, troppo spesso proiettate verso il territorio dell’inverosimile. Il successo della serie non prescinde dall’interpretazione della brava e avvenente Anya Taylor-Joy, “Beth”, e dall’ottima prova di tutto il resto del cast, Thomas Brodie, “Benny Watts”,e Harry Melling, “Baltik”, in primis.

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