“Un saluto da Giornale a… Paolo Rossi”: l’eroe di Spagna '82 che fece piangere il Brasile


Riproponiamo l'intervista del Giornale di Puglia al compianto eroe di Spagna '82 Pablito Rossi.

NICOLA RICCHITELLI “Ho fatto piangere il Brasile”, si intitolava così l’autobiografia pubblicata nel 2002 nel ricordo di 5 Luglio del 1982 a Barcellona. È proprio da quel 5 Luglio che inizia la nostra intervista, non senza ricordare coloro che hanno segnato la carriera di “Pablito”, dall’allora allenatore della Lanerossi Vicenza, Fabbri – con cui “Pablito conquistò un campionato di serie B e un miracoloso secondo posto in serie A – arrivando a Enzo Bearzot che ai mondiali in Argentina nel 1978 prima, e in Spagna poi nel 1982 ebbe forza e coraggio di scommettere su di lui. Il ricordo passa per il grande Gaetano Scirea: «Lui è stato il mio capitano per un decennio e nessuno più di lui avrebbe onorato quella fascia», fino ad arrivare agli ultimi anni prima del ritiro a Verona. 

D: Un saluto da Giornale di Puglia a Paolo “Pablito” Rossi - grande centravanti della nazionale italiana e della Juventus – Paolo partiamo dal titolo di una tua biografia pubblicata nel 2002, “Ho fatto piangere il Brasile”, quel 5 Luglio del 1982 a Barcellona può dirsi la data spartiacque della tua carriera calcistica? 

R:« Non c'è dubbio che la partita contro il Brasile ai mondiali di “Spagna 82” ha lasciato un segno indelebile, fino ad allora nessun goal e critiche pesantissime nei miei confronti. Si può dire che quei 90 minuti hanno rivoluzionato la mia vita di allora come di oggi». 

D: La tua carriera calcistica è stata funestata da tanti infortuni, basti pensare che a 16 hai subito ben tre infortuni al menisco, e tanti ne sono giunti nei quasi 15 anni di professionismo. Dal tuo punto di vista il numero di infortuni dipende dalla costituzione fisica del giocatore o dal tipo di allenamento che questo svolge? 

R:« I miei infortuni, già senza 3 menischi a 18 anni, dipendono esclusivamente dalla mia costituzione fisica e non dal tipo di allenamento. All'epoca '72-'73-'74, quando ancora non esisteva l'artroscopia, togliersi un menisco poteva equivalere all'abbandono della carriera. Con le tecniche di oggi probabilmente avrei potuto allungare la mia carriera di molti anni senza poi subire pesanti conseguenze nella vita di tutti i giorni». 

D: Hai concluso la tua carriera a Verona a soli 30 anni. Quanto è stato difficile per te lasciare i campi anzi tempo? 

R:« Lasciare il calcio a 30 anni non è stato certamente semplice ma oramai avevo raggiunto tutti gli obiettivi che un calciatore può aspirare e sinceramente non avevo più grandi stimoli per soffrire ancora e poi mi ha aiutato molto il fatto che avessi già un'attività avviata così che mi sono messo subito dal primo giorno a non pensarci più. Quello che più mi mancava nei primi mesi dal ritiro erano il profumo dell'erba e il clima che si respira all'interno di uno spogliatoio. Il calcio però rimane sempre una grandissima passione». 

D: La partita che rigiocheresti altre 100 volte e quella che non avresti mai voluto giocare? 

R:«La partita che vorrei giocare altre cento volte è Italia - Brasile al “Sarrià” di Barcellona Mondiali '82. 3 goal a quel Brasile non si possono dimenticare facilmente. Quel giorno ero stato battezzato dal Signore, un predestinato, di colpo sono diventato un'altra persona, un altro giocatore, un matador». 

D: Aldilà del calcio, vi è anche un'esperienza da cantante, “Domenica, alle tre”, 45 giri in cui parli del rapporto tra calciatori e le loro compagne. Come è nata quest'idea?

R:«Cantare e la musica in generale sono una mia grande passione, ho inciso un disco nel 1980 perchè mi chiesero di poter contribuire in qualche modo a risollevare la popolazione della Val Nerina che aveva da poco subito un terremoto. È stata un'esperienza simpatica e divertente che ho ripetuto altre volte con amici sempre per nobili cause. I proventi del disco andarono tutti ai terremotati». 

D: Fabbri, Bearzot, Trapattoni, Liedholm: a quale allenatore sei rimasto maggiormente legato? Con quale aneddoto particolare ricorderesti questi quattro grandi allenatori? 

R:«Gli allenatori ai quali sono rimasto più legato sono due: G.B. Fabbri e Enzo Bearzot. Anche se molto diversi caratterialmente tra loro li accomunava una grande carica umana. Fabbri è stato quello che ha cambiato il mio ruolo da ala a centravanti intravedendo in me qualità diverse. Era solito sdrammatizzare, amava molto il bel calcio, insomma è stato una sorta di allenatore moderno, uno che ha precorso i tempi. Bearzot invece era spesso duro e rude come la maggior parte dei friulani ma con principi straordinari sui quali ha mostrato sempre molta fermezza. E' stata la persona più importante per la mia carriera, ha creduto in me anche quando tutto il mondo mi voleva fuori squadra, senza di lui non sarei mai diventato quello che sono considerato oggi.Era poi un grande conoscitore di calcio e i suoi consigli erano sempre appropriati».

D: Stagione 1977/78, un tavolo, da una parte Giampiero Boniperti (ai tempi presidenti della Juventus), dall’altra Giuseppe Farina (presidente L. Vicenza), nel mezzo la risoluzione della comproprietà del tuo cartellino. Cifre folli per quel periodo (2.5 miliardi di vecchie lire) che provocarono addirittura le dimissioni di Franco Carraro (allora presidente FIGC), nonché forti reazioni politiche. Come hai vissuto quel periodo? 

R:« La vicenda delle buste tra Vicenza e Juventus nel 1978 ha dell'incredibile. Golia contro Sansone, il calcio scosso dalla cifra che l'allora presidente del Vicenza, Giussi Farina osò metter nella busta chiusa: 2 miliardi 612 milioni per la metà del mio cartellino. A me dispiacque non andare alla Juventus, sarei poi tornato comunque due anni più tardi, ma l'idea di rimanere ancora a Vicenza non mi dispiaceva affatto, la società che mi aveva lanciato nell'Olimpo del calcio, una città che mi amava alla follia e che mi avrebbe ancora dato tanto affetto. All'epoca fu come usurpare il trono di un re. Farina ebbe il coraggio di affrontare il gigante Juventus ad armi pari, volle tenere a tutti i costi il gioiellino che l'aveva fatto conoscere in tutto il mondo». 

D: In questi giorni le radio con la canzone “Gaetano e Giacinto” degli stadio, si sta ricordando due grandi del calcio nostrano se non mondiale, Giacinto Facchetti e Gaetano Scirea. Quale il tuo ricordo di Scirea, visto che hai condiviso tanti successi con la maglia azzurra e bianconera? 

R:« Gaetano Scirea è stato un grande calciatore e un grandissimo uomo. Per me un amico sincero. Una persona straordinaria, corretto, pulito sia in campo che fuori, un ragazzo d'altri tempi, un esempio per tutti. Lui è stato il mio capitano per un decennio e nessuno più di lui avrebbe onorato quella fascia». 

D: A distanza di quasi trent’anni, ci siamo ritrovati ancora una volta dinnanzi ad uno “scandalo scommesse”. Cosa porta un calciatore di per sé gia ricco a farsi coinvolgere in questioni di questo tipo?

R:« Ci sono varie categorie di calciatori ma non bisogna generalizzare, quelli che pensano sia concesso tutto o quasi sono gli sciocchi e gli stupidi che cercano così di abbreviare i tempi. Credo che il principale motivo per cui un giocatore si lascia coinvolgere in vicende del genere non sia altro che l'ingordigia, l'ignoranza e la mancanza di una buona educazione, il rispetto per se stessi e per gli altri».

D: Paolo, hai mai pensato ad un futuro come allenatore nel mondo del calcio? Ad ogni modo, cosa c’è nel futuro di Paolo Rossi? 

R:«Non ho mai pensato a un futuro da allenatore, nel momento che ho lasciato il calcio avevo una gran voglia di fare una vita normale e poi volevo staccare per un po' la spina. Troppo stress e troppa tensione. Nel mio futuro ci sono la famiglia, i figli, gli amici, il lavoro. Insomma tutte quelle cose che ti riempiono la vita quotidianamente e che ti rendono felici».

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