"SPARA…“: a chi e perché?

(Shutterstock /kikpokemon)

SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI
- “La dignità umana ha bisogno di una nuova garanzia, che si può trovare soltanto in un nuovo principio politico, in una nuova legge sulla terra, destinata a valere per l’intera umanità". (Hannah Arendt)

Come non si può non si riflettere sui comportamenti umani in questo periodo dominato da messaggi poco rassicuranti e da Covid-19? Come non si può non riflettere sulle parole che in questo momento si stanno usando per comunicare?

So bene che l’autoreferenzialità non è mai un valore che possa essere preso in assoluto, ma sempre è parte integrante dell’esperienza. A causa di una messa a punto di alcuni problemi personali mi sono ritrovata dinanzi a chi era preposta a misurare la temperatura corporea, e fino a qui tutto nelle odierne regole dell’anti Covid-19, ma ciò che mi ha fatto pensare è stata la frase della collega che sollecitava a prendere la temperatura mia corporea con il verbo secco e perentorio: “SPARA”.

E’ vero che questa emergenza sanitaria ha cambiato e sta cambiando tanti aspetti, ma certamente sta mutando il nostro sentire nei confronti delle cose e delle persone, degli eventi in genere. Covid 19 potrebbe essere una opportunità per tagliare i rami secchi e far rifiorire la pianta sacra delle vera amicizia, degli amori più profondi, delle passioni autentiche, ma quel verbo usato così in modo improprio con una freddezza nel tono di voce mi ha fatto intuire che forse il preumano in noi emerge in modo subdolo ma inesorabile. SPARA…, se pur con il termoscanner, sulla fronte di una paziente in attesa di cure. E sono stata anche destinataria di una semplice insinuante domanda il giorno dopo l’arrivo in Italia del vaccino Pfizer: “Ti sei vaccinata?“. Immancabile la mia immediata risposta: “Attendo il mio turno secondo normative vigenti detestando ogni forma di privilegio.”

Lentamente ma inesorabilmente, dunque, si è insinuata l’idea che stiamo esperendo una atmosfera di guerra: una guerra economica e sociale in nome di un Virus che esiste in modo più o meno pericoloso, anche per la sua elevata contagiosità. Una sorta di “Si salvi chi può“ sta dilagando nelle relazioni sociali: i ricordi della Seconda Guerra mondiale che mia mamma mi raccontava mi appaiono sempre crudeli ma questa realtà mi sembra terrifica, e lo è in modo molto pregnante perché celata in un atteggiamento globalizzato di “prendersi cura del Paese, delle persone, del pianeta“.

Le parole inventano il mondo, come più volte ho affermato e non mi piace ripetermi ma a volte è d’uopo. I media, le false notizie (le cosiddette fake news, altro orrendo anglicismo), i messaggi subliminali, i bollettini sanitari con una media di 500 morti al giorno, è come se ci immergessero ogni istante in una nuvola abitata da Covid 19. L’avvento delle tecnologie digitali è stato al medesimo tempo meraviglioso e tremendo. Nell’”Urlo” “muto” di Munch ci par di intravedere la metafora di una realtà in cui viene sospesa qualsiasi comunicazione che non sia quella della totale perdita del sé nella deriva delle dis-identità contemporanee, nel magma del nulla, nella afasia poietica. Ovvero nell’annichilimento di quel “fare” che necessita della complessa interazione sensoriale quale fondamento di quelle operazioni che il cervello, organo a noi ancora in parte sconosciuto, compie per produrre i pensieri e costruire la mente: l’intelligere. I percorsi creativi dei linguaggi e strumenti delle arti, direttamente esperiti e non solo fruiti, facilitano la possibilità di entrare in rapporto empatico con l’Altro “ il not – me” sia nel mondo esterno che in quello interno, inclusa la segretezza del proprio corpo che è anche parte del mondo esterno”, come si legge in Marion Milner. 

Ma nell’accecamento mediatico dell’eccesso virtuale ci si perde in una foresta di pensieri pietrificati e i sentieri della creatività, che soli possono condurre a riconoscere sé e l’Altro all’interno della dinamica dei rapporti umani e della possibilità che si possa odiare ma anche amare e pensare, si inaridiscono in quella dimensione di glaciale cinismo e deprivazione sensoriale che abitano il nostro tempo. ( Cfr. La scintilla del fuoco, edizioni Tracce) .Il virtuale sta paurosamente modificando il concetto di socialità che invece è fondativo dei rapporti umani, del pensiero e della creatività.

Quale gioventù stiamo sostenendo ? Quella che si perde nel vuoto di un sentire inesistente ? Dove il desiderio di guardarsi negli occhi e di toccare le mani dell’altro? Dal primitivo “con-tatto” in utero, al toccare e al vedere in un gioco costante di interrelazione: fra “toccare e vedere”, dunque, non c’è cesura, ma una memoria immemorabile che condiziona e determina giovani e adulti . Negli anni Ottanta la mostra dal titolo “Le mani guardano”, presentata dapprima al Beaubourg di Parigi e poi a Roma presso la Galleria d’Arte Moderna, propose un itinerario conoscitivo diverso per i soggetti non-vedenti attraverso il recupero di una sensorialità “altra”, talvolta “dimenticata” dalla civiltà dell’immagine. (Cfr, Il colore della mente, Schena editore). Il famoso “serpentone”, di cui era costituita la prima parte della mostra, veniva attraversato dagli adulti e dai bambini che nell’oscurità di tale percorso percepivano sensazioni tattili e uditive tramite le quali “immaginavano” e dunque “vedevano” oggetti, uomini e cose... Nel labirinto ciascuno scopriva una sua parte perduta, sepolta, o forse rimossa, in parte danneggiata. In tale difficile prova la mano del bambino cercava la mano dell’adulto: le mani di entrambi si toccavano reciprocamente. Essi avvertivano calore e colore, emozioni e affetti. In realtà ciascuno, in definitiva, entrava in parte in contatto con il proprio arcaico sé corporeo tramite quel gesto spontaneo quale metafora della mano carezzevole della madre. La frattura apparentemente insanabile tra toccare, non toccare e vedere cedeva il posto al logos, alla parola. In realtà è sempre il toccare “ad imporsi al pensiero”, a diventare emozione e a trasformarsi in desiderio altro. Si tratta del colore del sentimento che apre il varco alle emozioni più profonde e nascoste: al mondo dei segni e dei simboli, al linguaggio del corpo le cui tracce sono svelate dall’arte. Forse è così che nel corso del tempo il codice genetico subisce i vari mutamenti...

L’emergenza Covid-19 ha in questi mesi reso sterile questa possibilità tramite il cosiddetto perenne alienante distanziamento sociale e forzata detenzione a macchia di leopardo in un Paese multicolore. E in questo “modus vivendi” cresce la gramigna del sospetto nei confronti di tutti i possibili portatori del Virus. I postini, per esempio, lasciano i pacchi davanti alle porte e fuggono letteralmente subito dopo ...Una modalità di vivere che rischia di far incancrenire perfino gli affetti più sacri, ritenuti tali almeno fino ad oggi. L’Altro diviene sempre più lo specchio delle nostre parti persecutorie: un Nemico in carne ed ossa e non solo virtuale o frutto di proiezioni massive delle nostre parti non buone.

E allora quel verbo “SPARA” assume il suo più crudele significato: vale a dire che riformulato significa “Elimina l’Altro dinanzi a te perché portatore del male, di malattia e forse di morte. La personificazione di un Virus. Un’arma letale.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto