Psicologia: cos'è il narcisismo e come gestirlo al meglio

(Pixabay /Geralt)

ROMA – Una parola che recentemente salta all’occhio nel momento in cui si descrivono relazioni interpersonali compromesse è narcisismo, spesso utilizzata per definire le caratteristiche di un partner che assume atteggiamenti disfunzionali all’interno della coppia.

Accade spesso però che questo termine venga abusato o che questa etichetta venga attribuita senza davvero conoscerne il significato. È necessario conoscere bene i criteri di definizione e le dinamiche legate al narcisismo, dal momento che si tratta di un disturbo della personalità e non di una semplice caratteristica.

Facciamo chiarezza: chi è il narcisista?

Il narcisista è una personalità che manifesta un sistema di funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale pervaso da grandiosità e necessità di ammirazione. Queste caratteristiche della personalità iniziano a comparire entro la prima età adulta e possono essere presenti in svariati contesti.

La persona con disturbo narcisistico della personalità appartiene a coloro (donne o uomini) che sentono di avere un senso grandioso di importanza, la narrazione della propria esistenza è costellata dalla tendenza ad esagerare risultati e talenti, da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati spingendo il soggetto a considerarsi superiore agli altri, tanto da convincersi del diritto di ricevere trattamenti di favore o soddisfazione immediata delle proprie aspettative.

Il soggetto narcisista sceglie di frequentare solo ambienti di un certo livello e persone di un certo prestigio sociale, spinto dalla convinzione di essere un privilegiato, una convinzione che spesso lo porta ad assumere atteggiamenti arroganti e presuntuosi in vari contesti sociali ed alla certezza di essere oggetto di invidia altrui.

Ginni Maria Giovanna, psicologa del Pronto Soccorso Psicologico "Roma Est" afferma: "Ciò che più colpisce nella relazione con il soggetto narcisista è la mancanza di empatia: egli sembra incapace di mentalizzare gli stati mentali altrui e identificarsi con i sentimenti e le necessità di chi gli sta attorno. Questo è ciò che, più di tutto, porta a ledere le relazioni interpersonali. Il fallimento della capacità di mentalizzazione ed empatia trae origine dai meccanismi legati alla relazione di attaccamento con i caregiver durante l’infanzia. Il genitore che si prende cura del bambino nei suoi primi anni di vita ha una funzione fondamentale nella regolazione degli affetti e nel rispecchiamento emozionale, elementi che portano allo sviluppo di un sano apparato emotivo e personologico nei primi anni di vita; questo è ciò che sta alla base della formazione di un Sé ben strutturato, che si evolverà durante l’arco della vita. Il fallimento della funzione di rispecchiamento affettivo da parte del caregiver, porta a ciò che Fonagy e Target definiscono 'rispecchiamento affettivo non congruente', ossia un’esperienza in cui un genitore il più delle volte iper-controllante o con meccanismi di difesa non funzionali, provoca una percezione distorta da parte del bambino di sé stesso. Quanto 'rispecchiato' emozionalmente dal genitore non è congruo con la reale immagine del bambino, il quale andrà verso la formazione di quello che Winnicott definisce 'falso sé', che spesso sfocia in un disturbo narcisistico della personalità".

La percezione esterna che si ha di un soggetto con la personalità narcisistica è quella di una persona fredda e calcolatrice, presa totalmente da sé stessa, ma allo stesso tempo incapace di esprimere la propria vulnerabilità o di comunicare i propri bisogni. Spesso la motivazione di ciò è proprio legata all’incapacità di stabilire una relazione profonda con l’altro, poiché un coinvolgimento totale in una relazione riattiva nel narcisista vecchi schemi diadici infantili nei quali i suoi bisogni sono stati respinti, ignorati, talvolta puniti (Young & Klosko) da parte di un caregiver mal ricettivo.

Al contrario può accadere che a influenzare la capacità di coinvolgimento del narcisista e ad alimentare il suo senso di grandiosità vi siano esperienze infantili costituite da esaltazione, idealizzazione e sovrastima da parte della figura di accudimento, che porterà quindi alla convinzione di sé stessi come esseri superiori, meritevoli di attenzioni ed elogi continui.

Detto ciò, si può ben comprendere come, in età adulta, di fronte a soggetti non disposti ad assecondare i bisogni del narcisista, quest’ultimo provi un forte senso di rabbia e di ingiustizia. Egli percepisce di essere privato di un suo fondamentale diritto e metterà in atto una serie di meccanismi svalutanti nei confronti dell’altro.

Come conseguenza della convinzione di meritare sempre il meglio e di essere destinati a tutto ciò che è speciale e meritevole di attenzione, il narcisista, nella scelta del proprio partner, punta a prediligere caratteristiche dell’altro legate a particolari talenti, capacità o aspetto fisico, proprio perché il fine ultimo è quello di dover suscitare invidia negli altri. Di fatto egli non guarda alla persona in sé, ma essa diventa una sorta di trofeo da ostentare, nonché un’estensione di sé stesso che serve ad accrescere il suo valore.

All’interno della relazione stessa si attuano una serie di meccanismi che potremmo suddividere in fasi, poiché spesso caratterizzano un vero e proprio cliché, stando a quanto le stesse "vittime" raccontano.
Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico "Roma Est", afferma che "cadere nella trappola del narcisista è molto semplice: lui/lei esercita un forte fascino sull’altro, poiché è dotato di carisma, savoir faire, risulta estremamente seduttivo e sicuro di sé".

Nel momento in cui ci si innamora di un narcisista (prima fase del rapporto) si vive ciò che viene definito "periodo d’oro", costituito da forti sensazioni positive dovute al fatto che egli si mostra devoto, promettente, sempre pieno di attenzioni e gesti eclatanti verso l’altro; assume un atteggiamento rassicurante e premuroso e al contempo inizia a bruciare le tappe parlando di convivenza, matrimonio o addirittura figli. Il narcisista corre perché di fatto concentrare l’attenzione su qualcuno che non sia sé stesso richiede un forte dispendio di energia da parte sua, fino a che non potrà rilassarsi nella "seconda fase".

La seconda fase è quella della "svalutazione": il soggetto narcisista smette di dedicare attenzioni e premure all’altro, poiché si rende conto di averlo in qualche modo soggiogato sotto il suo potere e aver solidificato un aspetto di dipendenza da lui. È qui che egli manifesta il suo vero sé: si mostra indisponibile, non empatico, pretenzioso, bugiardo, esprimendo continue critiche al proprio partner.

La conseguenza "sana" da parte del partner a questo atteggiamento svalutante è quello di arrabbiarsi e cercare durante le discussioni un punto comune di crescita, ma il narcisista non è consapevole dei suoi errori per cui spesso le discussioni non portano a nulla. Egli è convinto di esser privo di difetti e di agire sempre nel giusto. Non di rado tali scontri si concludono con lo sfinimento o la fuga da parte della vittima.

Questo è ciò che prepara il terreno all’ultima fase, ossia quella dello "scarto", che consiste in una drastica interruzione del rapporto da parte del narcisista; questa è di fatto l’ultima arma che gli rimane per ripristinare l’equilibrio con sé stesso di fronte alla minaccia alla sua grandiosità. Spesso il narcisista sceglie un momento particolarmente importante per la vittima, come un traguardo o addirittura un lutto, proprio perché il suo intento è quello di lasciare il segno e generare una reazione di confusione nell’altro.

Lo scarto, percepito come improvviso e scioccante da parte del partner in realtà è un gesto premeditato: succede spesso che il soggetto narcisista già da tempo abbia cominciato a svalutare e giudicare male il proprio partner anche alle sue spalle, scaturendo spesso il consenso di chi lo ascolta a interrompere la relazione.

"Di fronte a questo evento, il partner del narcisista può reagire in due modi: se è dotato di una struttura di personalità ben salda, la rottura della relazione diventa un’occasione per liberarsi da un contesto dannoso; se invece il partner ha una personalità fragile, dipendente, con bassa autostima, insicurezza e con una passata storia di abusi, soprusi e svalutazioni infantili, resterà invischiato sempre più nei meccanismi del narcisista" conclude Lanari.

Chi è la vittima ideale?

Anche la vittima "ideale" del narcisista sembra corrispondere a un tipo particolare di personalità: alcuni studi e testimonianze cliniche riportano che il profilo della personalità dipendente è quella che più di tutte risulta complementare agli schemi del suo carnefice.

In maniera speculare, il dipendente è colui/colei che assume un atteggiamento sottomesso e timoroso, l’idea di una separazione lo spaventa e lo fa vivere in un incubo persistente. Il narcisista trova terreno fertile in una persona che ha difficoltà ad assumere un atteggiamento deciso, assertivo e responsabile, che non è in grado di compiere delle scelte e che ha paura di esprimere disaccordo verso qualcuno, per il timore di perderne il supporto e l’approvazione. Una relazione disfunzionale in questo caso non ha mai fine, poiché il legame seppur malato è sempre preferito all’abbandono e alla solitudine.

"La psicoterapia, sia per il narcisista che per la persona che si trova invischiata in questo meccanismo senza uscita, è utile innanzitutto per render loro consapevoli delle loro caratteristiche e della disfunzionalità delle loro relazioni. Una volta acquisita la consapevolezza, si procede gradualmente all’acquisizione delle abilitá necessarie per uscire fuori da tale 'trappola'" aggiunge Ginni.