Il matrimonio nei proverbi

VITTORIO POLITO – Il matrimonio è un Istituto Giuridico mediante il quale si dà forma legale al legame, mentre per la Chiesa cattolica è un Sacramento, mediante cui si dà forma ufficiale all’unione tra uomo e donna che stabiliscono di vivere in comunità di vita, finalizzata a fondare una famiglia. I riti possono essere di due tipi: civile, religioso o entrambi. Nelle società monogame il matrimonio lo si considera un vincolo indissolubile, per cui spesso la sposa viene considerata la contraente principale.

Secondo Massimo Centini (Il libro delle superstizioni – De Vecchi Ed.), il matrimonio è uno dei “riti di passaggio” più importanti della vita e, oggi, anche se non è considerata una meta da raggiungere a tutti i costi, rimane sempre un momento importante da seguire con il rispetto della tradizione e delle sue regole rituali.

Vi sono regole precise sui periodi da considerare validi per il matrimonio ed altri considerati pericolosi. Un detto recita “Né di Venere né di Marte ci si sposa o si parte, né si dà principio all’arte”. Maggio, invece, è un mese demonizzato, perché secondo un’antica tradizione ricordata da Plutarco, è il mese dedicato ai morti.

Giugno è il mese più adatto per celebrare le nozze, forse perché il suo nome deriva da Giunone, moglie di Giove, che era considerata la protettrice delle donne e del matrimonio. Fondamentale per i superstiziosi non sposarsi dopo il tramonto, poiché determinerebbe grande infelicità per gli sposi e, soprattutto, sarebbe segno della morte dei figli. Ma queste sono altre storie.

Vediamo i proverbi.

“I matrimoni non sono come si fanno, ma come riescono”. Nel matrimonio non valgono premesse, programmi, prospettiva, ma quello che avviene durante il percorso di vita, la situazione nella quale i coniugi vengono a trovarsi nel corso degli anni.

“Il matrimonio è una cesta dove ci son cinquanta vipere e cinquanta anguille”. Per quanti piaceri e consolazioni comporta la vita coniugale, vi sono altrettanti inconvenienti e fastidi. Sta a chi si trova in tale situazione scegliere il meglio e lasciare il peggio. Il difficile è sceglierle e tenerle le anguille (e quindi gli aspetti positivi del matrimonio).

“Il matrimonio non si fa per prova”. Il matrimonio non si fa per vedere se riesce, non è un esperimento. Ci si riferisce essenzialmente al matrimonio religioso cattolico, che il diritto canonico considera indissolubile, ma deve essere una regola che vale per tutte le unioni sia religiose che civili.

“Matrimoni e maccheroni devono esser caldi”. Nel contrarre matrimonio si deve essere solleciti, non ci devono essere dilazioni o ripensamenti, altrimenti si smorza l’entusiasmo, come i maccheroni, se si freddano perdono l’appetitosità e la fragranza.

“Matrimonio senza figli, albero senza frutti”. Mancando i figli, il matrimonio appare come un’istituzione mancante del suo fine che è la continuità della famiglia, il rinnovarsi della vita.

Curiosità. Un testo indiano ricorda che «Con un matrimonio legittimo una donna acquista le stesse qualità dello sposo, simile al fiume che si perde nell’oceano e, dopo la morte, è ammessa nello stesso paradiso celeste», mentre, per San Giovanni Crisostomo «Ãˆ l’immagine non di qualcosa di terrestre, ma di celeste». E per Bari cosa si intendeva per matrimonio nell’undicesimo secolo? La risposta la troviamo nel testo di Armando Perotti (1865-1924), “Bari ignota” del 1907, ristampata nel 1984 da Arnaldo Forni, e si riferisce ai giovani Russone e Alfarana, appartenenti a nobili e ricche famiglie di sangue longobardo, ma baresi per nascita, raccontata in un antico latino su quattro pergamene datate 1060, esistenti nell’Archivio della Basilica di San Nicola di Bari. Uno dei documenti, il secondo, rogato dal notaio Mele e firmato da un Nicolaos greco, che sottoscrive nella sua lingua, contiene la formula del ‘morgincap’, strana parola proveniente dal diritto consuetudinario barese di origine longobarda, e che rappresentava la quarta parte dei propri beni che lo sposo contraente era tenuto a donare alla sposa dopo l’avvenuta consumazione delle nozze, validamente attestata davanti ad un notaio con l’assistenza di testimoni. Una sorta di dono mattinale ritenuto un compenso per la verginità rapita. Del ‘morgincap’ ne parla anche Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel suo libro “Storie baresi” (Levante), ricordando che nel XVII secolo con una disposizione del 16 dicembre 1617, il ‘morgincap’ fu sostituito con “l’antefato”, la cui misura era determinata in proporzione all’entità del patrimonio dello sposo.

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