Padre Dante, i Baresi e i Maldini


LIVALCA
- Risale al settembre del 1985 una delle mie battute ‘migliori’, difficilmente perfezionabile, in cui al termine della partita persa dal Bari in casa con il Milan, io rivolto al pubblico in tribuna, che giustamente applaudiva la nostra squadra, cui il pareggio sarebbe ‘andato stretto’, sentenziai:«Siamo Baresi sempre e poi, anche, milanisti». Nel Milan era già capitano Franco Baresi e quel giorno i due stranieri erano Wilkins e Mark Hateley, mentre nel Bari l’unico presente era Rideout che fu il capocannoniere di quella sfortunata annata. 

Quel giorno a Bari esordiva giocando dal primo minuto Paolo Maldini - figlio di quel Cesare che sempre in un settembre del 1954 vestiva per la prima volta la maglia del Milan, squadra con cui avrebbe disputato 412 incontri - che ha detenuto fino alla scorsa stagione il record delle partite giocate in serie A, 647, prima che Buffon lo relegasse al secondo posto con 657. Paolo Maldini quel giorno faceva il suo esordio da titolare - aveva assaporato l’aria della prima squadra ad Udine nel febbraio dello stesso anno da tredicesimo - in una difesa che era composta da Terraneo, Di Bartolomei, Galli, Tassotti e Baresi. Il Milan vinse con una rete, penso, di Wilkins dopo che Cavasin e Loseto Giovanni avevano bloccato molto bene Virdis e Hateley. 

Era il Milan del presidente Farina, con Nils Liedholm in panchina, mentre per i nostri colori Franco Janich (un giorno gli ricordai che nel 1966 aveva fatto parte con Albertosi, Landini, Facchetti, Guarneri, Fogli, Perani, Bulgarelli, Mazzola, Rivera e Barison della squadra battuta per 1-0 dalla Corea del Nord ai mondiali di Londra ed un amico presente mi disse: «Non abusare del fatto che non sia stato mai squalificato in carriera…») direttore generale e ‘maciste’ Bolchi allenatore di un gruppo che comprendeva De Trizio, Cuccovillo, Terracenere, Piraccini, Bergossi, Sola, Sclosa, Carboni ( venne utilizzato solo dieci volte in quella stagione; alcuni anni dopo diventò punto di forza della Roma tanto da subentrare a Giannini come capitano, poi fu ceduto al Valencia dove disputò 9 campionati; ha giocato 14 partite in nazionale) e Cowans che non riuscirono a farci evitare la retrocessione a fine campionato. Quel Bari nella stagione 1983/84, dopo un solo anno di C - Presidente De Laurentiis si poteva e si può fare! - risaliva in B e con un campionato di vertice riusciva ad arrivare immediatamente in A. 

(getty)
Per realizzare l’impresa il Bari del presidente Vincenzo Matarrese, subentrato ad Antonio, aveva acquistato un goleador, Edy Bivi, non badando a spese (quasi tre miliardi delle vecchie lire, ripagati dalle venti reti realizzate in quell’anno) e sacrificando il beneamino del pubblico Gabriele Messina, che aveva realizzato 12 reti, una in più del generoso Galluzzo. Al termine di un finale rocambolesco Pisa, Lecce e Bari finirono in A. Nonostante gli acquisti roboanti di Cowans e Rideout quella squadra ritornò la stagione successiva in B insieme a Lecce e Pisa, sempre loro per cui si può obiettare …’Qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat’. 

Tornando all’esordio di Paolo Maldini, tutti notarono quel giorno di settembre ’85 che si era al cospetto di un giocatore di gran classe, dotato di personalità non comune se rapportata all’età. La carriera di questo splendido atleta da sola legittima tutto quello che di buono è stato raccontato sia dalla stampa specializzata, sia dai cultori di calcio. Sabato 25 settembre - sempre il magnifico settembre ! - 2021 Daniel Maldini, figlio di Paolo e nipote di Cesare, ha esordito dal primo minuto da attaccante (questa la novità in una famiglia di difensori, infatti il fratello Christian gioca nella Pro Sesto in serie C in difesa) segnando il suo primo gol in serie A di testa a La Spezia. 

Come non pensare che il commissario tecnico azzurro Roberto Mancini aspetti pazientemente un nuovo Paolo Rossi per vincere il mondiale del prossimo anno? Dimenticavo Franco Baresi, quando ha abbandonato il calcio e quella fascia da capitano incollata al braccio, ha passato il testimone proprio a Paolo Maldini. Il cognome Maldini è di chiara origine triestina, infatti Cesare era nato a Trieste come ‘el paròn’ Nereo Rocco, ma nel tempo si è ‘milanesizzato’ e oggi quel cognome è sinonimo di Milan. Certo chi scrive è tifoso del Bari e, subito dopo del Milan, ma semplicemente per un fatto di mera bellezza dell’arte calcistica. 

Il gioco del calcio è bellezza allo stato puro: se giochi bene puoi anche perdere, ma su 10 incontri, giocando bene, puoi uscirne sconfitto 4 volte e 6, comunque, ne esci vincitore. Il Milan ha sempre vinto dando spettacolo e onorando il gioco e rispettando il pubblico, forse l’unica eccezione è stato lo scudetto vinto con Allegri…ma è problematico praticare un buon calcio con le ‘istruzioni’ dell’allenatore juventivo, che resta pur sempre un ottimo allenatore vincente ( mi sarebbe piaciuto vederlo allenare all’estero!). Pur restando Baresi estimatori di Franco – ‘francamente’ ci auguriamo che il Purgatorio degli ultimi due anni non diventi Inferno, ma ci regali quel Paradiso, giusta aspirazione della tifoseria barese - non possiamo fare a meno di lodare la milanesità di Cesare, Paolo e Daniel Maldini. 

Il prossimo 13 ottobre il noto attore, regista, cantante, sceneggiatore Vito Signorile, fondatore del Gruppo Abeliano e direttore artistico, presenta una nuova versione della monumentale opera di Gaetano Savelli «La “Chemmedie di Dande veldat’a la barese» per l’editore Gelsorosso e l’avvenimento mi coglie quasi ‘in flagrante’ perché proprio a Dante mi ero rivolto per far felice il popolo di Baresi (concittadini voi siete nel mio cuore, ma il Franco eroico che disputò nel 1994 la finale del mondiale di Pasadena, persa ai rigori contro il Brasile resta un mito. Quel 17 luglio il rigore calciato da colui che era stato il migliore in campo…volò altissimo verso il cielo infinito…ancora oggi vaga alla ricerca di quella porta che avrebbe consentito una rete, ma ci avrebbe privato del pianto umano di un campione ‘inimitabile’). Padre Dante nel XVII canto del Purgatorio, per tramite Virgilio, ci dispensa una lezione sulla felicità: Altro ben è che non fa l’uomo felice,/non è felicità, non è la buona/essenza, d’ogni ben frutto e radice…
 
Carissimo Dante non è mia intenzione confutarti, ma i tifosi baresi non cercano altri beni ‘terreni’ per essere felici, si accontentano di un frutto acerbo, nato dalle prime due lettere del nostro alfabeto, che in superficie mostra una B, pronta per essere colta, e custodisce gelosamente nella radice quella A che ‘cor’ ingrati ci hanno strappato e che sarebbe la più Divina Commedia in salsa barese.

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