Adulatore e invidioso: due facce della stessa medaglia


VITTORIO POLITO
- L’adulatore è colui o colei che loda esageratamente una persona, per compiacenza o interesse, utilizzando anche parole e comportamenti in modo eccessivamente plateali ed egocentrici per apparire gradevole, senza un’attinenza di significato propria, insomma un vero ipocrita.

A tutti piace ricevere complimenti, per i risultati del proprio lavoro, dei propri valori, dei comportamenti o delle decisioni prese. Se la lode, poi, viene da persone importanti, come amici, dalla famiglia o da colleghi di lavoro, allora ci fanno sentire bene, orgogliosi di noi stessi. In realtà, la lode è una forma di riconoscimento sociale che può aumentare la nostra autostima e generare molta soddisfazione. Tuttavia, ci sono anche persone che ci lusingano con delle cattive intenzioni solo per avere qualcosa in cambio o per invidia. Il più delle volte non credono neppure a quello che dicono, ma si concentrano sui nostri punti di forza per farci abbassare la guardia e soccombere ai loro desideri.

L’adulatore brandisce due spade: l’ego e la colpa. Se sei una persona sicura di te, non avrai bisogno di adulazione e di conseguenza, ti sentirai meno compromesso nel momento in cui la ricevi. Ricorda inoltre, che la principale strategia degli adulatori è spesso quella di generare il senso di colpa.

L’adulazione è definita come elogio eccessivo e ricorrente delle qualità di un altro. L’adulatore mostra a volte un’ammirazione senza limiti, priva di critiche e più o meno patologica. Altre volte, è semplicemente un'arma che qualcuno usa per manipolare un altro. L'adulazione fa provare soddisfazione all’adulato per cui fa abbassare le difese a quest’ultimo al fine di confondere le intenzioni di coloro che li esaltano così tanto.

Ora, il bisogno di adulazione è una delle peggiori malattie (ne accenna perfino Platone nel ‘Fedro’), in quanto perfettamente agganciata all’invidia. L’adulazione è una cura dell’invidia, ma una cura falsa, una cura che invece che guarire alimenta il male.

Il mito può aiutarci a capire? Può aprirci uno spiraglio sull’invidia? Gli dei – perfino gli olimpici – sono invidiosi, perché? Essi hanno un insistente tarlo nel cuore. Consapevoli di avere acquistato il governo dell’universo mediante violenza e inganno e temono che in eguale maniera possano perderlo ad opera di antagonisti.

Il vocabolario della lingua italiana Treccani definisce l’invidia «Sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità: avere invidia del successo altrui; provare, sentire, portare invidia contro qualcuno; destare invidia in qualcuno».

L’invidia è, in sostanza, una forma perniciosa, rancorosa e risentita. Un’ammirazione mista a presunzione. L’invidioso vorrebbe essere invidiato ed essere degno d’invidia. Spesso l’adulazione, è un’ammirazione malefica in quanto si propone di sedurre, servendosi dell’invidia per raggiungere il suo fine meschino. Invidia e adulazione sono frutti della medesima pianta. In sostanza sono le due facce della stessa medaglia.

(J.H. Flandrin, “Dante con le anime degli invidiosi”)

Per Dante Alighieri, gli invidiosi sono i penitenti che scontano la loro pena indossando un mantello di panno ruvido e pungente, siedono a terra appoggiati l’un l’altro contro la parete del monte e hanno gli occhi cuciti da filo di ferro che impedisce loro di vedere (mentre in vita essi guardano il prossimo con occhio malevolo). Per cui adulatori di un certo tipo e invidiosi, rappresentano categorie di individui assai spregevoli da tenere alla larga.

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