Curiosità baresi: la storia dell’Ospedaletto dei Bambini


VITTORIO POLITO – La casa editrice Schena pubblicò nel 1989 il volume di grande formato “Storia dell’Ospedaletto dei Bambini di Bari” di Mario Montinari (con la collaborazione di Massimo Montinari), dal quale si apprende che un largo numero di baresi, tra i quali il dott. Pietro Di Santo, l’avv. V.N. Di Tullio, i fratelli Chiarappa, il cav. Martino Cassano (direttore e proprietario del quotidiano “Il Corriere delle Puglie”), il prof. Enrico Nannei, matematico e docente a Bari, che nel 1891 perse per difterite, all’età di un anno e mezzo la figlia Maria Adele, furono d’accordo che mancava a Bari una vera assistenza pediatrica. Infatti i bambini venivano ricoverati ed assistiti presso l’Ospedale Consorziale insieme agli adulti e senza personale specializzato.

Nel gennaio 1892 il prof. Nannei inviava ad alcuni cittadini baresi una lettera finalizzata alla costituzione di un Comitato “che potrà recare vantaggi alle povere creature mancanti di tutto”, allegando nel contempo una scheda per la sottoscrizione. I sostenitori della proposta furono numerosi, tra i quali l’on. Nicola Balenzano, che assunse la presidenza del Comitato, l’arcivescovo monsignor Giulio Vaccaro, la signora Fulvia Perotti, lo stesso Nannei, segretario del Comitato, e tanti altri. Ovviamente, l’impegno era gratuito e volontario e durò per molti anni, fino al 1955.

Al direttore della Scuola d’Arti e Mestieri, ing. F. Baldi, fu dato l’incarico di predisporre un progetto che prevedeva un unico padiglione per una spesa prevista in lire ventimila, che molti cittadini si fecero a carico, e così il giorno di Pasqua comparve sul “Corriere delle Puglie” l’elenco dei 25 sottoscrittori.

Il 20 maggio 1911, con atto del notaio Michele Attoma, presenti il sindaco Giuseppe Capruzzi il senatore Balenzano ed i testimoni, si decise di far costruire un Ospedaletto, su un suolo di proprietà comunale, ubicato tra via Garruba, via Trevisani e via Crisanzio, e che se fosse venuto meno lo scopo per il quale l’edificio si era costruito, la proprietà tornava automaticamente al Comune di Bari. Successivamente nuove disposizioni legislative, che trasformarono l’Ospedaletto in Ente Morale (decreto del 7 aprile 1929), fu trasferita la proprietà allo stesso nosocomio pediatrico.

La parte centrale del nuovo ospedale fu inaugurata il 29 settembre 1912 con discorsi dell’avv. F. Damiani, del presidente on. Balenzano, allora sindaco di Bari, dal prof. Fiorese e da Gioacchino Poli.

Nel 1928 furono inaugurati nuovi reparti con 200 posti-letto.

E fu così che dopo tanti anni di lotte, aggiornamenti di piante edili, di polemici interventi, viene resa utilizzabile la nuova sede, in tutta la sua bellezza e ampiezza e il 27 aprile del 1977 tutti i reparti furono trasferiti nella nuova e grande sede di via Amendola con il nome di “Ospedale Pediatrico Regionale “Giovanni XXIII. Si tratta di una struttura realizzata secondo i più moderni criteri dell’assistenza pediatrica, con un intero piano operatorio che vede impegnato il numeroso personale nell’assistenza infantile dei piccoli degenti della Regione Puglia.

Oggi l’Ospedaletto Giovanni XXIII è gestito dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari.

Per concludere riporto dallo stesso libro una poesia in dialetto barese del primario pediatra pro-tempore, Ninì Loiacono, che racconta una notte trascorsa al Pronto Soccorso dell’Ospedaletto di Via Trevisani.

 

Na notte o Pronde Soccorse d’ via Trevisane

di Ninì Loiacono

 

Ié notta fonna e stogghe o Spedalette,

so midiche d’uardie da le sette.

Ma quanda piccininne hanne passate!

Da stamatine non me so fermate…

D’ l’ piccininne so nu dottore,

vedelle malate, me strenge’u core.

Bronghite, polmonite, scitte, anemì,

morbille… malatì grosse e… fessarì!

Arrive na mamme tutt’aggetate

me disce ca u figghie ha semme scettate,

disce; “Dottore, da sope e da sotte va

e pecchesse non zacce ce sa v’ha fà”.

E da nu paise n’aldune vene…

Jì ‘ngia demanneche: “Ce cose tene?”

E chedde, tenenne u figghie p’mmane,

me disce: “tenne la tosse du cane!”.

Sti cose… acquanne le so stediate –

a cudde memende ji so penzate –

Tosse de cane, scitte sope e sotte…

E so stediate pure la notte!

“Pertosse e diarrea” – ma sì –

sop’a le libbre sta scritte adacchesì!

Na mamme, poveredde, se ne sape?

vole asselute ca cusse dottore

’nge cur’u figghie su che tand’amore!

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