Il carrubo


VITTORIO POLITO
- Il carrubo (ceratonia siliqua), dall’arabo ‘kharrùb’, è un albero della famiglia delle leguminose, sempreverde, a chioma larga e densa della regione mediterranea che genera frutti cosiddetti ‘carrube’ con semi durissimi.

Le carrube rivestono un ruolo importante nell'alimentazione animale, soprattutto per i cavalli, particolarmente ghiotti di questo alimento, ma anche per conigli, pollame, uccelli granivori e ruminanti.

Si dice che questa pianta orientale abbia 7 vite. Per decenni la pianta è stata alla base dell’alimentazione, sia per gli esseri umani che per gli animali. In particolare, si usava come surrogato del cacao e come alimentazione umana, durante il periodo bellico della seconda guerra mondiale.

Il carrubo, è un albero che cresce lentamente, anche a 100 anni si considera giovane, l’origine è attribuita da alcuni all’Asia o alla Siria, per altri all’Egitto, alla Sicilia, ecc., la cui chioma può superare i 10 metri di diametro fornendo una notevole zona d’ombra. In Italia, in ogni caso, il carrubo trova terreno fertile, soprattutto in territori asciutti e caldi.

Il frutto, che inizia a formarsi in primavera, matura completamente dopo un anno. La polpa è dolce e fibrosa e i semi, in arabo ‘qerat’, venivano utilizzati per pesare oro e pietre preziose dando nome a quell’unità di misura che ancora oggi si chiama ‘carato’.

La carruba, frutto dell’albero del carrubo, è anche utilizzata nella fabbricazione della birra.

Curiosità

In dialetto barese la carruba si chiama ‘còrrue’ mentre in alcuni paesi della provincia si chiama ‘còrue’ (Bitonto) o ‘pestazze’ (grumo). Anticamente si mangiavano infornate, di sapore squisito, dette anche ‘còrrue a-mèle’ (cioè carrube al miele).

In medicina popolare viene utilizzata, secondo Carlo Scorcia (“Nomenclatura di medicina popolare barese – Edizione Levante, 1972), nella ‘petisscene’ (infiammazione degli strati cutanei più superficiali, che si manifesta soprattutto sul viso, le persone colpite si curavano e guarivano, bagnando le macchie con saliva a digiuno, il mattino appena svegliati, e strofinando sopra un pezzo di còrrue (carruba) verde acerba. In campagna era credenza che la causa fosse da attribuire alle secrezioni della ‘lacérte mbrasscetate’, tarantola dei muri o plantidattolo muraiolo. Anche per la ‘gribbue’ (malattia infettiva epidemica, febbrile, catarrale che attacca le mucose del naso e della gola), era indicato, tra l’altro, il decotto di malva con pezzi di carrubo della qualità ‘a-mèle’ (cioè al miele per differenziarla da quella ‘du ciucce’ (del ciuco, cioè da foraggio), ecc.

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