Capodanno: spumanti e vini salentini protagonisti sulle tavole del cenone

(NickyPe/Pixabay)
BARI - Spumanti e vini salentini saranno protagonisti sulle tavole del cenone di Capodanno. Per il brindisi della mezzanotte del 31 dicembre, si potranno scegliere bollicine rigorosamente leccesi. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio economico Aforisma, diretto da Davide Stasi.

Sono ben 571 le aziende della provincia che operano nel settore vitivinicolo con il codice Ateco della «Coltivazione di uva da vino e da tavola in vigneti» (Ateco 01.21). Se ne contavano 557 nel 2020, anno della pandemia. A queste si aggiungono le 35 aziende che si occupano della sola miscelatura, purificazione ed imbottigliamento (con il codice Ateco 11.02). Per un totale di 606 attività.

Sono dati che mettono in evidenza una peculiare specializzazione in questo particolare settore capace di crescere molto in questi anni dal punto di vista qualitativo e commerciale. Gli spumanti salentini sono pochi, ma buoni. Si tratta di bottiglie pregiate, con un buon rapporto prezzo-qualità. Spesso sono il frutto di innovazioni introdotte in aziende che valorizzano vitigni autoctoni e tecniche di produzione all’avanguardia.

«Il settore vitivinicolo – spiega Davide Stasi – ha vissuto un periodo molto difficile, soprattutto a causa dell’emergenza sanitaria e dell’apertura a singhiozzo delle attività ristorative. Tre i principali fattori che hanno contribuito alla crescita: l’andamento del cambio euro-dollaro che ha permesso di compensare gli aumenti dei costi di produzione e recuperare competitività sui mercati legati al dollaro come Stati Uniti d’America e Canada; la ripresa del turismo a livello globale, che ha dato impulso ai consumi di vini e spiriti nel canale Horeca; la diversificazione dei mercati, come strategia adottata da molte aziende che guardano ai Paesi emergenti, come ad esempio Tailandia e Vietnam».

Per Stasi, «la situazione ora è cambiata, ma più in generale l’agricoltura salentina, a differenza di quella nazionale, sta attraversando una fase di difficile transizione. Tante le cause, a cui dare una nuova prospettiva: ricambio generazionale, innovazione tecnologica, meno burocrazia, più competenze. Maggiore cooperazione e aggregazione tra le realtà, non solo produttive ma anche tra aziende e consumatori, coordinando le filiere è l’unico modo per limitare le asimmetrie del mercato. Diventa centrale il tema del rinnovamento del settore agricolo che evidenzia non solo la necessità di dare nuova linfa al sistema attraverso un ricambio generazionale, ma riguarda, nello specifico, la nascita di figure professionali nuove e specializzate, al fine di poter imprimere una vera spinta sul fronte dell’innovazione e dare slancio e vitalità ai territori rurali. L’evoluzione tecnologica sta aiutando in parte e, con ogni probabilità, lo farà ancor di più in futuro, le imprese agricole, sia a smaltire in modo più semplice e veloce l’enorme carico burocratico, sia a svolgere tanti compiti che oggi nel settore primario sono ancora svolti con metodi tradizionali. Solo il reale ritorno dei giovani, che tornano a essere attratti dai campi e portano con sé una naturale confidenza con le nuove tecnologie, potrà aiutare le aziende a cogliere le fondamentali opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica. La rivoluzione digitale – aggiunge Stasi – può davvero impattare in modo significativo sull’agricoltura, ma potrebbe scontare la mancanza di personale adeguatamente preparato al cambiamento. Ci sono le scuole e le università, volte a formare i futuri operatori del mondo agricolo, ma l’applicazione della rivoluzione digitale in agricoltura deve ancora attuarsi pienamente. Occorrono tanti ragazzi che siano validi agronomi o periti agrari e al contempo conoscano molto bene l’elettronica, l’informatica, le tecnologie digitali e che abbiano quelle competenze trasversali (soft skill) che servono per applicare al meglio la rivoluzione 4.0».

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