Strage di speranze

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SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - "Non c'è notte tanto lunga da non permettere al sole di risorgere il giorno dopo". Jim Morrison

Strage di migranti, di cuori, di speranze…. In questi giorni mi sto chiedendo, non senza avvertire sconforto, come sia possibile che tanto difficile risulti oggi trascendere gli aspetti efferati della natura umana? Siamo davvero ancora in epoca arcaica e tribale? Dove si è trasferita la coscienza? Ma davvero non si riesce ancora a comprendere e sentire che i diritti umani non sono negoziabili? Davvero sono necessarie le guerre radicalizzando sentimenti e obnubilando la mente di tutti per scopi di natura meramente economica barattati per ideali di Patria?

La preoccupazione mi invade e mi turba . Cosa fanno i Governi, i Soloni di turno , le organizzazioni umanitarie ? Le Associazioni di volontariato tutte dedite alle mense di coloro che chiamano “poveri” non accorgendosi dell’insulto in atto ponendo in condizione di subalternità l’altro sentendosi “ ricchi”, di coloro che si sprecano in affermazioni di buonismo e frasi fatte mutuandole da grandi autori e riempiendo se stessi di alterigia ? E quell'Europa dall'anima mediterranea sta a guardare ? E ricorda l’ Europa di avere radici proprio in questo mare del “non ancora “ dal cui grembo è scaturita la civiltà occidentale ?

Si tratta del prepotente affiorare del dominio dell’Uno sull’Altro: un arcaico primitivo comportamento che dovrebbe essere contenuto della neo corteccia sviluppatasi dopo l’affermarsi del cervello limbico o emotivo durante la filogenesi. Paul MacLean, neuroscienziato, elaborò negli anni Settanta la teoria del cervello tripartito, non da tutti condivisa o forse artatamente incompresa ma che mi piace sottolineare , con la quale spiegava come, nel corso dell'evoluzione, l'uomo abbia strutturato l'encefalo attraverso un'organizzazione ed una funzione gerarchica. MacLean, come si legge anche sul Web, ha suddiviso il cervello in tre sistemi principali: il Cervello rettiliano, che corrisponde al tronco encefalico; il Cervello mammifero, corrispondente al sistema limbico; e la Mente o Ragione, abbinata alla neocorteccia. Così si legge: "Il cervello rettiliano è chiamato in tal modo perché simile nell’aspetto a quello del cervello di un rettile e quindi rappresenta la parte più antica del cervello; è la sede degli istinti primari, delle funzioni corporee, si occupa della difesa del territorio, della risposta attacco-fuga, dei comportamenti non verbali, della sessualità e della riproduzione". Praticamente trattasi di quella parte che affonda negli abissi dell’inconscio, alla memorie arcaiche, implicite (come ebbe a scrivere il grande Mauro Mancia) di cui non siamo assolutamente arbitri perché’ trattasi di quelle forze che governano totalmente la nostra vita nel momento in cui il nostro Io abdica , rinuncia a se stesso e si rimmerge nei luoghi oscuri di tale nostra istanza, come la definisce Freud, o luogo del divieto, come scrive K.Wright.

Il cervello mammifero è invece sede delle emozioni, della comunicazione, degli affetti: una sorta di luogo dell’Io in cui è possibile tentare di rendere coscienti le sorgenti delle emozioni, di simbolizzare.

La Neocorteccia o Ragione è la sede del linguaggio, della mente e del pensiero; si tratta della possibilità di trascendere l’antica natura per diventare uomini con la maiuscola . Ma tutto questo può accadere solo se il pensiero mantiene la sua libertà e creatività, se non viene appiattito e reso binario dai sistemi dominanti , dalle lobby economiche del potere che tendono al dominio della mente per stabilire vari tipi di tirannia..

Noi tutti, lèggiamo “attiviamo il sistema Psico-Neuro-Endocrino-Immunitario e, simultaneamente, il corpo si adatta per garantire la sopravvivenza in continuo adattamento per garantire la sopravvivenza del momento". E oggi di quale sopravvivenza si tratta? Siamo tutti inermi dinanzi al mondo , abbandonati tra le gelide braccia dell’indifferenza.

Ma per esempio, è possibile che si pensi ancora di recarsi in alcuni Paesi del continente africano con la desueta passatista idea pseudo missionaria di portare il cosiddetto aiuto senza preoccuparsi di strutturare in loco situazioni che rendano i popoli liberi e autonomi? Ma possiamo ancora credere che le persone alla ricerca di una vita migliore si imbarchino avventurosamente con la speranza nel cuore per poi morire nello stesso mare ritenuto salvifico ? E ... nessuno si accorge mai delle imminenti tragedie? No , non ci crederò mai….Ho ascoltato tante frasi fatte: il silenzio delle bare, Cristo sulla spiaggia e così via... Ma noi dove eravamo? Dove siamo?

Il processo di massificazione e di livellamento determinato dal mondo virtuale e mediatico ci ha reso “indifferenti” nei confronti di coloro che sono alla ricerca di nuove frontiere, di nuove terre…

La fiera delle ipocrisie e delle strumentalizzazioni per così dire “politiche” dinanzi alle bare di quei cuori senza più battiti non può nemmeno essere commentata. Non c’è posto per le parate di facciata se non affiora un “nuovo senso del dovere" (A. Moro), il sentimento di una condivisione profondamente empatica dinanzi alla condizione degli immigrati che vivono, tra l’altro, il grande disagio della solitudine che non di rado si trasforma in disperazione.

Il trauma psichico rappresenta una ferita per la mente: qualcosa di esterno la invade e ne viola i confini, causando spesso uno stato di profonde scissioni .

Non dimentichiamo che è il trauma, quale frattura dell’esperienza quotidiana e della memoria, a rappresentare il dramma dei profughi e degli immigrati, e non solo.

Si tratta di una ferita che riapre altre piaghe, talvolta invisibili cicatrici che ricominciano a sanguinare al primo soffio di vento e che pertanto lasciano emergere improvvisamente il perturbante, il rimosso ( quel primo cervello ) non rappresentabile dalla nostra mente che invece ha bisogno di controllare eventi e fatti all’interno dell’universo simbolico umano. Una ferita che genera crisi di panico senza direzioni. Vi sono anche traumi irrisolvibili! E noi tutti di questi traumi siamo un po’ complici con il nostro operato o con il nostro essere freddi spettatori di tali drammi. invero realtà difensive angosce profonde sempre ci accompagnano insieme alla percezione di antiche scissioni e processi molto problematici che fanno sì che nulla riesca più a “commuovere” se non l’uso estremo dello spettacolo della violenza, dei teatri di morte, scene macabre ammantate di pietismo, quali espressioni di rabbie profonde e massive proiezioni verso coloro che ci appaiono diversi, compresa forse la persona della porta accanto.

In tale contesto, che giunge finanche a livelli dissociativi notevoli, rappresentati in parte dal mondo mediatico e virtuale, scevro dal pensiero critico bensì espressione di una sorta di non pensiero , facilita l’emergere e il consolidarsi di quel cervello rettiliano che la cultura, intesa quale insieme delke esperienze umane e assunzione di piena consapevolezza del nostro esistere al mondo , aveva tenuto sotto controllo. Risulta oggi molto difficile per noi tutti riconoscere la realtà della sofferenza e della necessità della condivisione del dolore e dei drammi dell’Altro.

Dinanzi ai nostri schermi televisivi, al riparo da insulti e oltraggi, assistiamo ai massacri in diretta. Tutto ciò finisce per assuefare e anestetizzare i nostri sensi e rendere finanche gli orrori più atroci qualcosa che appartiene alla quotidianità in modo del tutto abituale.

Ricominciare ad ascoltarsi, a sentire, a ricentralizzare il valore della Persona nella sua totalità è veramente fondante per coloro che devono continuamente vigilare affinchè si costruisca una vera famiglia umana in cui “tutti si diventi responsabili di tutti “ ( Carlo M. Martini) . Il nostro sguardo a questo punto, dinanzi a così efferata realtà, non può non trasformarsi in un grido di orrore. Un grido che è proprio come quello che ha descritto Munch, già nel 1892, prima di dipingere “L’urlo”: "Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue… I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura".

Nel volto rappresentato da Munch, come alcuni osservano, si percepisce l’urlo muto, la terrificità delle esperienze primordiali quali la dipendenza assoluta, il terrore dinanzi alla propria inermità, l’estraneità ambientale, l’odio e l’amore che accompagnano il nostro presentarci al mondo.

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