L’essere con l’Altro: il Mosaico della Solidarietà

Aristal/Pixabay

SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI
- “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (Mt. 25,40)

"L’inconscio è un depositarsi nella memoria di rappresentazioni affettive legate alle esperienze che l’individuo ha fin dall’inizio della sua vita". (Mauro Mancia)

Premessa

Un pensiero grato va al prof. Filippo Maria Boscia per rinnovare l’attenzione su problematiche sociali complesse quali quelle riguardanti le persone “senza fissa dimora”. Se n’è discusso durante l’apposito incontro organizzato il 6 aprile us. presso l’Archivio di Stato. Hanno partecipato relatori estremamente qualificati ciascuno secondo le proprie competenze. Molte le voci a contronto e prestigiosi i patrocini. L’incontro mi ha sollecitato il ricordo di un Protocollo di intesa a cura della Prefettura di Bari del 28 giugno 2013: la “ Missione dignità “ che non può non tenere conto della costruzione del “Mosaico della solidarietà”, di una rete di aiuto veramente efficace a favore di coloro che versano in gravi difficoltà. Nella Lettera Enciclica di Papa Francesco “ Fratelli tutti” sulla fraternità e amicizia sociale si legge:

1. «Fratelli tutti», scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita.“

Meditare dunque sulla vita e sul dramma della sofferenza, le umiliazioni e il desiderio di riscatto che determinano in parte il fenomeno del movimento di individui, interi popoli e civiltà, del nomadismo è essenziale e necessario. E allora se ci si rende conto che i fenomeni sono strettamente legati alle epoche storiche, allo sviluppo delle civiltà, alla ciclicità della storia . ai conflitti armati tra Paesi, anche tra fratelli, se tutto è in qualche modo legato all’economia , con le sue alternanze o i suoi momenti di crisi, allora sì che siamo tutti coinvolti, tutti in qualche modo siamo accomunati al cammino di quelle persone e popoli in cerca di una terra promessa, una nuova terra che sia “una madre sufficientemente buona!” (D.W. Winnicott).

E’ la conoscenza, come durante l’incontro sottolineato e da SE Dott. ssa Valeria Montaruli e dall’ Avv. Maria Laura Basso , l’antidoto ai pregiudizi e all’omologazione del pensiero. … La Puglia, come ricordato dal Consigliere comunale Dr. Giuseppe Cascella ha conosciuto, come altre regioni, la realtà di una migrazione di massa. La nave Vlora, con circa 20.000 albanesi giunse nel porto di Bari l’8 agosto 1991, inaugurando una nuova epoca di immigrazione che assunse carattere biblico…

Vagabondo, Barbone, Clochard, Homeless, Senza tetto, Senza dimora, Senza fissa dimora… Sono tutti tentativi di definire un fenomeno complesso non privo di pregiudizi, stereotipi, concezioni moralistiche, semplicistiche e riduttive.

Preciso,in modo categorico, a tal proposito che i diritti umani non sono negoziabili: l’Altro ci porta sempre in dono se stesso ma ci “costringe” ad affrontare questioni radicali (uguaglianza, libertà, rispetto della dignità, solidarietà) e ad interrogarci sul “senso” delle nostre scelte e dei nostri comportamenti.
Tre, come si legge anche sul Web, sono i principali stereotipi:

a) l’immagine del “vagabondo antisociale”, al di fuori del comune modo di vivere. Viene sempre più emarginato con l’indifferenza.
b) il “mito della scelta di vita”, estremamente ambivalente tra coraggio e rifiuto delle regole, libertà e autonomia
c) l’immagine della “vittima” non tutelata

B

La scoperta freudiana dell’ambivalenza dei sentimenti ci racconta il divario esistente fra gli ideali degli uomini e la realtà dei comportamenti. E tale divario oggi è sempre più visibile.

Le persone senza fissa dimora o senza dimora compresi i migranti, come qualsiasi persona, donano senso alle inesauribili domande di ?!? Una accoglienza e di una ospitalità che non giudicano e non pretendono di assimilare la diversità dell’Altro, ma lo ascoltano e lo sostengono, rispettando e valorizzando la sua diversità.

Una cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità è assolutamente necessaria in modo che si possa riconoscere la precipua singolarità dell’Altro in un progetto capace di includere per integrare. Personalmente non credo all’inclusione “tout court” ma una inclusione solo funzionale ad una effettiva integrazione, anche lavorativa.

Essere senza dimora, Signori e Signore, non significa non avere identità: tra l’altro questo è un fenomeno sempre più frequente perché le condizioni della società sono diventate molto difficili. Il termine senzatetto può includere anche persone la cui residenza notturna è un ricovero appunto per i senzatetto.

Ricordo di essermi occupata, in un altro ambito volontaristico che certo per correttezza non cito in questa sede, di un Campo di accoglienza per coloro che erano senza fissa dimora, senza tetto….
Gestire un Campo per le persone senza fissa dimora, per quanto mi riguarda, non è stato proprio così semplice perché fondamentale era l’ estrema attenzione alle persone e per farle sentire in qualche modo a casa e accoglierli al di là delle loro problematiche anche psichiche.

Quando si giunge a vivere emarginati dal tessuto sociale e diventare come si suol dire in maniera abbastanza superficiale “barbone e clochard” è perché manca un supporto familiare, sociale, una rete affettiva. perché ci sono traumi non risolti, ferite dell’anima, o si vuol dimenticare la radice della propria esistenza e quindi si diventa altro. Molti nelle sostanze o nell’alcool è come se rimuovessero il loro destino, dimenticassero di esistere.

Naturalmente per accogliere queste persone bisogna essere estremamente preparati per cui devono essere formati tutti i Volontari o le cosiddette “unità di strada” quando si recano presso i vagoni ferroviari o sotto i ponti: non è infatti scontato che quello che si offre sia una cosa buona per loro. Il che vale anche per le mense.

Ciò che si deve fare è innanzitutto segnalare queste persone alle Autorità e fare in modo che le stesse vengano accolte nelle strutture apposite. Vi sono edifici non utilizzati nella nostra città che potrebbero essere posti a disposizione di coloro che vivono situazione di così grave disagio .

Non tutti vogliono rimanere nella condizione di assoluto nomadismo, anche se per esempio ci sono gruppi etnici che sono stati sempre nomadi per tradizione…

Ricordo un’esperienza con i bambini di un campo Rom a Bari durante le festività natalizie. Ecco in quella occasione, in modo particolare, si ebbe modo di constatare il loro modo di intendere la vita fuori dal nostro contesto sociale. Il che vuol dire che trattavasi di una marginalità voluta. Ma per quanto riguarda le persone senza fissa dimora non so se si può chiamare marginalità voluta.

Ciò che personalmente mi procura estremo dolore è quando si definisce questo mondo dei “senzatetto” come un mondo “invisibile”: sarà invisibile a noi, agli indifferenti a tutto e a tutti, perché non siamo attenti a quello che accade, condizionati come siamo da messaggi mediatici di “paradisi artificiali” o dalla violenza quale ormai comportamento di massa così tanto preconizzato da Pier Paolo Pasolini: queste persone sono visibilissime anzi questo loro essere sulla strada li rende molto visibili.

Siamo noi che li vogliamo definire invisibili perché in loro vediamo le nostre fragilità, le nostre paure: in realtà a tutti può accadere di perdere la famiglia, di perdere il lavoro, di perdere la casa. Siamo tutti sull’orlo sull’abisso della vulnerabilità e precarietà… Si tratta però sempre di un sentire doloroso, senza la cui consapevolezza non è possibile costruire l’immagine completa di quello che mi piace definire come il “Mosaico della Solidarietà”. Assistiamo spesso alla negazione di Sé e dell’Altro come se non fosse possibile la reciprocità, la costruzione dell’Io integrato e come se non vi fosse posto per l’Estraneità, l’Alterità.

Ed è in questa straniante dimensione che si inscrive tutto ciò che si indica difensivamente, ma forzatamente, come “villaggio globale”: il luogo mentale in cui l’integrazione cede il posto alla disintegrazione e all’azzeramento totale.

Non rimane che la speranza in un futuro in cui si possa scoprire che l’atto solidaristico e volontaristico si ponga in una relazione asimmetrica in cui l’Altro – l’Estraneità – rappresenta sempre parte di noi.
È l’atto solidaristico cosciente e responsabile a costituire lo strumento di trasformazione dell’esistente e la profonda realizzazione della propria e altrui storia. La formazione degli operatori e’ prioritaria .
Ed è qui che si gioca davvero l’essere “efficaci”.

Ed è proprio in questo accadere trasformativo che si rende visibile e in parte affrontabile l’abisso dell’inconciliabile, di quell’imponderabile che a volte si indica come “Destino”, come ha evocato magistralmente da Don Mario Persano .

C

Riscoprire l’Identità di tutti nel “Mosaico della Solidarietà” è essenziale affinché la stessa solidarietà sia davvero efficace e non già l’uso di una parola ormai logora e finanche abusata.

Di qui la necessità di scendere non senza rischi nell’abisso, fino al principio del primo sogno, là dove sia per noi che per l’Altro (persone senza tetto ,migranti, minori non accompagnati persone in difficoltà e così via discorrendo…) non si è dissolta la notte e non è ancora sorta l’alba, sì da immaginare un nuovo giorno.

Una Identità che per tutti si struttura sulla perdita, sulla nostalgia del ricordo, su tutto ciò che chiamiamo Memoria. LeDoux ci dice chiaramente che c’è una interazione tra Natura e Cultura e che da questa interazione scaturisce la nostra mutevole identità.

Forse le ultime esperienze internazionali ci insegnano che siamo sul crinale di tragedie epocali.
Scenari privi di parola con passaggi all’atto devastanti per tutti in cui ovviamente non vi sono vinti, né vincitori, ma tutti vinti.

Oggi l’Altro è l’Alterità come tale, rappresentata da quelle voci disarticolate, e per alcuni aspetti inudibili, dinanzi alle quali si è disorientati

I diritti degli individui vanno rispettati insieme ai diritti del gruppo sociale di appartenenza se non si vogliono creare condizioni difficili per tutti.

Il compito delle Associazioni non è assolutamente semplice: si tratta di operare all’interno delle nuove frontiere sociali.

Il rispetto dell’individuo non può prescindere dal rispetto per la collettività di appartenenza del singolo individuo. Ed è solo nel linguaggio, nel dialogo scevro da pregiudizi , che prendono forma i ricordi, le speranze e i sentimenti.

Essenziale è conoscere le lingue: è il linguaggio che, in ogni modo, ci permette di conoscere noi stessi e il mondo.

Imparare ad ascoltare prima sé e poi l’Altro permette di ascoltare la voce dell’Altro e risentire in quella voce le esperienze affettive ed emozionali.

Non vi sono prescrizioni o ricette: possiamo però avvalerci di un metodo trasformativo che può essere ravvisato, come affermano anche altri molti esperti, nei seguenti passaggi:

1) analizzare la motivazione,
2) qualificare la formazione dei Volontari,
3) differenziare l’offerta,
4) orientare la domanda.

La concretezza delle risposte risiede nella capacità di leggere all’interno dei vari bisogni e istanze provenienti da ambienti diversi.

Ed è per questo che conoscere (connaissance) significa nascere insieme all’Altro in un processo creativo, in un intreccio in cui l’Uno si ritrova ad essere parte dell’Altro. In un dialogo fecondo è possibile riconoscere la propria “id-entità” attraverso l’Altro.

D

Il primo aiuto sarebbe percepirli e trattarli come persone e non solo con una ciotola di cibo !
Il rispetto delle norme fa la differenza nell’assistenza : a cominciare dagli ambienti sanificati e mi riferisco ai mezzi con i quali ci si reca a prestare aiuto per finire all’ attenzione di quanto si offre.
Per amare il prossimo bisogna rispettarne la dignità.

Per non ribadire poi di quando queste persone si definiscono “ultimi o invisibili”: la peggiore offesa che si possa fare alla dignità umana. Agli invisibili, ahimé, si puo ‘dare di “ tutto” .perché tanto nessuno li vede. Perdonate il mio ardire...

Se non si diventa consapevoli e coscienti veramente non è possibile amare e aiutare nessuno .
Sono solo parole che riempiono sempre più il nostro narcisismo.

Le auto celebrazioni sono dannose per tutti.

A Giuda non importava “dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.” Mi riferisco all’episodio di Betania. Ma intendo ancor più sottolineare, e mi prendo tutto il rischio di ciò che affermo, come scritto in un mio articolo di qualche tempo addietro che etichettare l’Altro, deprivato a vari livelli, ovviamente non secondo le parole e le intenzioni di Cristo ,ma secondo l’accezione che noi oggi diamo alle parole come “povero “o peggio ancora “ultimo” o addirittura “invisibile“, come innanzi scritto, significa già scotomizzarlo ed escluderlo innanzitutto dentro di noi, deprivandolo ulteriormente nel contesto sociale autodefinendoci “ privilegiati” e dunque in condizioni di superiorità.

Sono persone che vanno aiutate il prima possibile: non si tratta di portare il the e l’acqua calda o l’acqua fredda. Si tratta di aiutare veramente segnalando la situazione alle Autorità preposte nella consapevolezza che queste persone, questi fratelli nostri , presentano una grande varietà di percorsi esistenziali: dal disturbo mentale o fisico, alla perdita di lavoro, della casa , delle sicurezza. Ci si chiede dell’ appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale ? La prima cosa da fare è trovare una dimora e in questa dimora bisogna fare sì che ci sia una dimora del cuore e poi il riscatto nella società, vale a dire un percorso lavorativo. Ricostruire la rete sociale non è una cosa facile .Vivere in uno spazio pubblico comporta anche un continuo stato di tensione.

D

Ciascun essere umano è unico e prezioso: lo straniero e il diverso rappresentano i vari infiniti aspetti del mondo . Il migrante ci porta le sue tradizioni, lingua e cultura …Intensi sono sempre gli sguardi delle madri che hanno dovuto lasciare la propria terra , gli affetti, gli anziani genitori, gli sposi e talora i figli… I flussi migratori, in un continuo divenire ma pur sempre uguale, assumono nel loro evolversi, non solo in senso temporale, forme e modalità assai diverse. Una preponderante parte di tale fenomeno, la migrazione, a volte è percepita impropriamente , sia nella realtà che nell’immaginario, come una sorta d’invasione, una “conquista” delle nostre terre, rappresentata dagli sbarchi di migranti provenienti da vari Paesi del mondo (Africa, l’Asia, Est europeo…). Invero le persone protagoniste di tali esodi coinvolgono in maniera diretta la nostra coscienza e i nostri sentimenti, evocano in noi una visione globale di interazione costante tra l’essere umano e l’ambiente, lo stupore dell’immagine del sole all’alba…del sole che sorge ad Oriente…, quell’Oriente mitico e affascinante da cui si originano il nostro pensiero e la nostra civiltà, quell’Africa che dette vita alla Eva mitocondriale. Nella genetica Eva mitocondriale è il nome assegnato alla presunta antenata comune di noi tutti...

E all’alba della vita, come il sole a Levante incontriamo: “… i bambini, i minori non accompagnati che a volte vengono oltraggiati: nei loro occhi restano impresse le immagini, crude e terribili, a testimonianza di scenari di guerra, di catastrofi, testimoni incolpevoli, che non hanno potuto far a meno di vedere…
I bimbi, poco importa di quale Paese essi siano , se cristiani, ebrei o islamici o altro ancora, se stanziali o nomadi, rimangono sempre “bambini …Ma lontani dalla rete familiare, da antiche dimore o dal paese si avverte più forte il legame con le proprie radici: “…come un filo d’erba che appartiene alla terra: sono un filo d’erba, un filo d’erba che trema. E la mia Patria è dove l’erba trema” (R. Scotellaro)… Un 'erba che non possiamo far disseccare con il nostro egocentrismo , con il nostro ipocrita sentirci " buoni" con un gesto elemosiniere per tacitare la nostra falsa coscienza.

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