Bari, rivolta in carcere durante il lockdown: 74 detenuti rinviati a giudizio. Processo al via il 16 dicembre


BARI – Saranno 74 i detenuti rinviati a giudizio per la rivolta avvenuta il 9 marzo 2020 nella casa circondariale di Bari, in concomitanza con il primo giorno del lockdown nazionale per l’emergenza Covid-19. Le accuse nei loro confronti sono di danneggiamento aggravato e interruzione di pubblico servizio.

I fatti risalgono a quella drammatica giornata in cui, mentre in tutta Italia venivano introdotte le prime misure restrittive per contrastare la pandemia, all’interno del carcere barese scoppiò una protesta violenta durata circa tre ore. I detenuti delle sezioni prima e seconda distrussero vetri, oggetti in legno e acciaio presenti nelle celle, danneggiarono le serrature dei blindi delle stanze e presero di mira anche le videocamere di sorveglianza, paralizzando temporaneamente il sistema di controllo interno.

A fatica, il personale della Polizia Penitenziaria riuscì a contenere i disordini, cercando di evitare che la situazione degenerasse ulteriormente. Molti dei protagonisti della sommossa furono successivamente trasferiti in altre strutture carcerarie, per ragioni di sicurezza e ordine interno.

All’esterno dell’istituto penitenziario, in contemporanea con la rivolta, si radunarono alcuni familiari dei detenuti, che manifestarono con striscioni, cori e tamburi, chiedendo la liberazione dei propri congiunti a causa dei timori per la diffusione del virus nelle carceri.

Il processo

Il processo a carico dei 74 imputati inizierà il prossimo 16 dicembre presso il Tribunale di Bari. L’udienza preliminare si è conclusa con il rinvio a giudizio per la quasi totalità dei detenuti coinvolti nei disordini, alla luce delle prove raccolte e delle testimonianze fornite dagli agenti penitenziari.

La rivolta del 9 marzo 2020 si inserisce in un contesto nazionale più ampio: in quei giorni si registrarono tensioni e sommosse in numerosi istituti penitenziari italiani, alimentate dalla paura del contagio e dalle restrizioni ai colloqui con i familiari, che alimentarono l’angoscia e il disagio tra la popolazione detenuta.