Taranto non è una cartolina: è un fronte aperto


TARANTO –
In una città dove il mare ha già dato tutto e forse troppo, si continua a chiedergli ancora. Con la Determina n. 731 del 6 giugno 2025, la Provincia di Taranto ha autorizzato la Marina Militare a scaricare acque reflue nel Mar Grande, una zona già fortemente compromessa da decenni di dragaggi, traffico navale e attività belliche, come documentato da numerosi studi ARPA e ISPRA.

Non è l’unico colpo sferrato in questi giorni all’ambiente e alla comunità: con il PAUR 2025, la stessa Provincia ha dato il via libera a un impianto di trattamento per 260.000 tonnellate di rifiuti inerti l’anno, a ridosso del quartiere Paolo VI e delle sponde del Mar Piccolo, cuore pulsante della mitilicoltura tarantina. Un impianto che genererà quasi 19.000 camion all’anno, operando sei giorni su sette. Le emissioni di polveri sottili (PM10), pur “entro i limiti”, potranno raggiungere 780 grammi all’ora.

Tra carte e realtà: due mondi distanti

Mentre i documenti ufficiali parlano di “impatto minimo” e “prescrizioni tecniche”, la realtà vissuta dai cittadini e dai mitilicoltori racconta altro: controlli basati su autocertificazioni mensili e verifiche semestrali, in un contesto dove già a marzo 2025 si sono registrati sforamenti di Escherichia coli e azoto ammoniacale.

A tutto questo si aggiunge l’amara constatazione che proprio la Marina Militare, la cui presenza nel Mar Piccolo è tra le principali cause storiche del dissesto ambientale, continua a beneficiare di uno status di privilegio, lontano dalle responsabilità e dalle bonifiche.

Mitilicoltura al collasso

Mentre si discute di scarichi e impianti, chi vive del mare affonda. L’estate 2024 ha segnato una mortalità del 90% del novellame nel Mar Piccolo, con temperature dell’acqua che hanno superato i 30 °C. Una calamità naturale, ma anche istituzionale: nessun ristoro, nessun aiuto concreto, solo promesse vuote.

I mitilicoltori, esclusi dai tavoli decisionali, si trovano oggi con concessioni da pagare, produzione azzerata e cozze tarantine che “inspiegabilmente” si trovano ancora in commercio, spacciate come eccellenze quando la realtà è ben diversa.

Il paradosso del “presidio Slow Food”

La cozza nera di Taranto è oggi un “presidio Slow Food”, ma il contrasto tra immagine promozionale e vita reale è stridente. Gli operatori locali denunciano il mancato rispetto dei principi fondanti del presidio da parte di alcuni aderenti: promuovono una falsa idea di abbondanza e qualità, mentre il comparto mitilicolo reale è al collasso.

Un marchio come Slow Food dovrebbe garantire buono, pulito e giusto. Invece, senza trasparenza sul disciplinare e sui controlli, rischia di trasformarsi in un’operazione di facciata, utile solo a coprire il degrado con una narrazione accattivante. Le istituzioni, anziché vigilare, fanno spesso da megafono a questa rappresentazione distorta.

Basta propaganda, serve azione

Taranto non ha bisogno di testimonial del gusto, ma di difensori del mare, di politiche coraggiose, di bonifiche vere. I mitilicoltori non sono una cartolina, ma lavoratori dimenticati, vittime di un sistema che sfrutta la loro immagine e li abbandona al momento della crisi.

Serve onestà, attenzione istituzionale, unità vera. In un territorio ferito, ogni nuova autorizzazione è una ferita che non si rimargina.

Taranto non è una cartolina. È un fronte aperto. E chi la ama davvero, oggi, deve schierarsi. Senza ambiguità.


Firmato:
COOPERATIVA NUOVA MAR IONIO TARANTO – Emilio Palumbo
UNCI AGROALIMENTARE – Carla Macripò
CONFCOOPERATIVE TARANTO / FEDERCOOPESCA – Gianluca Basile
LEGACOOP AGROALIMENTARE / DIPARTIMENTO PESCA – Cosimo Bisignano
CONFESERCENTI CASAIMPRESA TARANTO – Cosimo D’Andria
FAI CISL – Alessandro Gesuè
FLAI CGIL – Lucia Lapenna
UILA PESCA – Vincenzo Guarino