Carcere di Lecce, Stefanazzi (Pd): “Senza interventi strutturali la situazione è a rischio esplosione”


LECCE – “Il carcere di Lecce è una polveriera”. È un allarme netto quello lanciato dal deputato leccese del Partito Democratico Claudio Stefanazzi, al termine di una nuova visita ispettiva effettuata nella giornata di oggi all’interno della casa circondariale salentina.

Dall’ultima visita, spiega Stefanazzi, il Ministero della Giustizia ha finanziato alcuni interventi di adeguamento strutturale per limitare le infiltrazioni e l’umidità, ma la situazione complessiva resta critica. Il nodo principale continua a essere il sovraffollamento: le celle, nella stragrande maggioranza dei casi, ospitano tre detenuti, rendendo estremamente difficili le condizioni di vivibilità quotidiana.

A questo si aggiunge una grave carenza di personale. Agenti di polizia penitenziaria, operatori e addetti ai servizi risultano ampiamente sotto organico e costretti a lavorare al limite delle forze. “La miscela è esplosiva – sottolinea il parlamentare – e in questo clima non può sorprendere che, meno di 48 ore fa, si sia verificato l’ennesimo suicidio”.

Secondo Stefanazzi, il Ministero continua a destinare nuovi detenuti alla struttura leccese senza un corrispondente incremento dell’organico, ignorando le richieste che arrivano dalla direzione e dalle guardie carcerarie. “Senza un intervento strutturale e senza una riduzione della pressione numerica dei detenuti – afferma – il carcere è a rischio implosione. Il disagio dilaga sia tra i reclusi sia tra gli operatori, e all’orizzonte non si intravede alcuna ipotesi di inversione di tendenza”.

Il deputato ha annunciato di essersi impegnato a sostenere, presso la ASL di Lecce, alcune richieste relative al rafforzamento del personale medico e paramedico, con particolare riferimento all’ambito psichiatrico, considerato cruciale alla luce dei recenti episodi. Parallelamente, ha aperto una verifica sulla possibilità di consentire ad alcuni detenuti già impegnati nell’assistenza ad altri reclusi di frequentare un corso per operatore socio-sanitario, così da conseguire un titolo spendibile una volta tornati in libertà.

Nel suo intervento Stefanazzi allarga infine lo sguardo alla politica carceraria nazionale. “L’intera gestione del sistema penitenziario nel Paese – conclude – sembra improntata all’idea che le carceri debbano essere luoghi di mera sofferenza, in contrasto con i principi costituzionali di riabilitazione. Una sofferenza che oggi accomuna detenuti e operatori, intrappolati in un girone infernale che riguarda chiunque abbia a che fare con il carcere”.