Papa Francesco, siamo 'custodi' della Creazione


di Luigi Laguaragnella. Come si può parlare di intronizzazione di un pontificato con papa Francesco? La messa di inizio pontificato è  da poco terminata. Il papa ha celebrato dinanzi ai capi di Stato, a 132 delegazioni, alla presenza degli arcivescovi delle Chiese orientali cattoliche, al patriarca, a esponenti del mondo musulmano, c’è addirittura il dittatore dello Zimbawe (presenza avvenuta solo con un permesso speciale). Soprattutto era presente una folla oceanica, circa un milione che ha riempito piazza San Pietro colorata da bandiere e colori festanti prima della celebrazione ha accolto il pontefice, il quale non si è fatto assolutamente mancare l’occasione salutando e benedicendo ripetutamente dalla jeep, rigorosamente scoperta, le persone assiepate attorno. E’ un lungo giro che compie papa Bergoglio che sembra non voglia mai finire, quasi a voler regalare ad ogni presente un suo sorriso colmo di gratitudine.

Ma c’è una celebrazione che lo presenta al mondo. Dopo una lunga processione, papa Francesco si reca all’interno della basilica per pregare davanti la tomba di San Pietro e subito dopo sul sagrato, riceve i simboli che sigillano il suo pontificato: il pallio, una lunga fascia che è posta sulle spalle, simbolo del buon pastore e l’anello pescatorio, simbolo di San Pietro “pescatore di uomini”, di argento dorato. Poi dinanzi a papa Francesco hanno prestato giuramento sei cardinali tra cui due in rappresentanza dell’ordine dei diaconi.

Dalle sue parole di nuovo padre per i fedeli, nella sua omelia inizia ricordando e facendo i suoi auguri al papa emerito Joseph Ratzinger poi parla partendo proprio da San Giuseppe, santo del giorno e patrono della Chiesa. Papa Francesco sottolinea l’essere custodi teneri come è stato Giuseppe: “Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, di amore” . E poi rivolgendosi indirettamente ai capi di Stato, ma innanzitutto e se stesso: “Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l'intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere”.

E’ forte il senso di responsabilità  e dell’esigenza di aprire le braccia all’umanità, ai bisognosi: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita”.

Il tono deciso, ma reso ammaliante dal suo spagnolo della lingua papa Francesco esorta, come ha fatto Giovanni Paolo II a  “non  aver paura della bontà, anzi neanche della tenerezza”. E finendo la sua omelia, da uomo semplice e rispettoso chiede ancora di pregare per lui.

Paura e bontà, potere e servizio: termini opposti che collocati, come Francesco ha fatto, lasciano certamente sperare.

A termine celebrazione papa Francesco riceve i saluti delle delegazioni presenti.