LA RECENSIONE. Rogue One

di FREDERIC PASCALI - Nell’incombere di valori imprescindibili, quali onore e sacrificio, la tragedia assurge a protagonista assoluta della nuova pellicola dedicata alla saga di “Star Wars”(“Guerre Stellari”). Diretta da Gareth Edwards, con la sceneggiatura di Chris Weitz e Tony Gilroy, essa si sofferma su di una storia adiacente il filone principale della creatura di George Lucas, collocandosi poco prima dell’avvento delle imprese di Luke Skywalker e Han Solo.

Uno spin off che sfruttando una struttura narrativa ben congegnata non delude le aspettative e fa dimenticare il precedente non irresistibile “Star Wars: Il Risveglio della Forza”, il primo episodio della trilogia sequel.

Galen Erso è uno scienziato dell’Impero Galattico che vive nascosto e ritirato sul pianeta Lah’mu. Sfortunatamente la sua dimora viene trovata dagli imperiali guidati dal suo ex datore di lavoro, il Direttore Krennic. Sua moglie, Lyra, viene uccisa nel tentativo di sottrarlo alla cattura mentre la loro bambina, Jyn, fugge nascondendosi in un rifugio indicatole dal padre dove in seguito viene salvata da Saw Gerrera, il capo di una banda di ribelli e trafficanti con base a Jedha City.

Diventata grande Jyn intreccia la sua  storia con quella dello Stato Maggiore della ribellione. Entrambi vogliono ritrovare Galen nel frattempo ritornato a lavorare alla terribile “Morte Nera”, l’arma di distruzione voluta dal malvagio Darth Vader.

“Rogue One” si avvale di un cast di ottimo livello con la forte presenza scenica di Felicity Jones, “Jyn Erso”, pienamente a suo agio nel ruolo e con la giusta personalità per calamitare l’attenzione del pubblico attorno alla sua sorte. Buona la sua intesa con il protagonista maschile Diego Luna, “Cassian Andor”, e in genere con tutti gli interpreti, compreso l’antagonista impersonato da Ben Mendelsohn, “Orson Krennic”.

La fotografia di Greig Fraser e gli effetti speciali curati da Neil Corbould e John Knoll assicurano alla pellicola il dovuto equilibrio di immagini e suspense, accompagnando  e modulando al meglio gli alti e bassi della trama.

Il finale non brilla per originalità e ricorda altri lavori di genere avventuroso catastrofico ma senza indugio può essere ascritto alla voce “peccati veniali”.

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