OPINIONI. Grassi, tour elettorale col 'santino' di Moro

di FRANCESCO GRECO - Si può “usare” un cadavere eccellente per disboscare la giungla della politica post-ideologica e “liquida” per avere una candidatura, anzi, una ricandidatura, nel tentativo di dare smalto a una carriera da mediano, avara di soddisfazioni?

Si può andare in tour elettorale come i Rolling Stones a Cuba annunciando addirittura “la verità” sulle tante ombre del caso-Moro, e poi risolvere il tutto con una sagra della banalità (e delle vanità) da copia e incolla, sfondando porte aperte, ripetendo cose note come da bambini mandavamo a memoria “T’amo pio bove” e “La donzelletta vien dalla campagna”?

E’ etico usare un corpo citazione della “Pietà” di Michelangelo, quello dello statista della Dc rapito a Roma dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e assassinato il 9 maggio? L’eredita di Moro è ingombrante e tentare di accreditarsela segno di supponenza.
 
Ognuno si dà la visibilità che vuole e la tattica più efficace quando va in cerca di consensi, di un posto al sole, ma è l’impresa che sta compiendo il parlamentare pugliese Gero Grassi, Pd (già Margherita, moroteo d’annata) componente della commissione del caso-Moro, da un angolo all’altro dell’Apulia, da Vieste (Foggia) a Vignacastrisi (Lecce), e altre date inzeppano l’agenda: lo spettacolo è ambito da retroscenisti e complottisti nel paese dove a pensar male fai peccato ma quasi sempre c’azzecchi.
 
“Non sarò ricandidato…”, sospira Grassi alla fine della performance fumando l’ennesima sigaretta dopo una lezioncina di due ore, tradendo freudianamente la ragione della fatica. Ma dai toni da campagna elettorale (mancano solo i “santini”) tutti avevano capito: rivelatore anche uno schizzo di veleno su Maurizio Gasparri che gli siede accanto in  una commissione di cui “Il Fatto quotidiano” il 6 maggio 20’16 ha scritto che è “sommersa dalle bufale”.
 
Un uomo così audace, sprezzante del pericolo, capace di andare a mezzanotte a Ostia Lido, il luogo dove la notte dei Morti del 1975 fu ucciso Pier Paolo Pasolini, dopo aver avvisato il figlio, per incontrare un caporedattore della Rai che dopo 40 anni si ricorda qualcosa sul bar “Olivetti” di via Fani, è segno che rincorre i mitomani.
 
Tutti i luoghi comuni ripercorsi, i depistaggi sovrapposti, con gli attori (molti defunti) che recitano più parti in commedia: servitori dello Stato la mattina, nei servizi, ovviamente deviati, la sera. Ma la narrazione di Grassi si rivela tuttavia densa di omissis.
 
Non una parola sui due della motocicletta sul luogo del rapimento il 16 marzo. Chi erano e cosa facevano? Non un cenno alla borsa di Moro “ravanata” chissà da chi e mostrata a “Il fatto” (Rai1) da Enzo Biagi. Non su chi può aver indotto chi era arrivato sul pianerottolo del covo di via Gradoli a fare retromarcia. Anzi, Grassi ha messo una “taglia” di 500 euro per cercare le Pagine Gialle di quegli anni, come se una via potesse essere inghiottita dal buco nero. Non un riferimento al “partito della fermezza”, Dc-Pci, guarda caso i partiti che avrebbero dovuto governare se lo statista di Maglie (ma qualcuno dice che è nato a Galatina) quel mattino fosse riuscito a giungere in Parlamento. Nulla sulla stessa Dc che tre anni dopo (aprile 1981) non è più inflessibile e va a trattare con la camorra per liberare Ciro Cirillo, politico dc. Doppia morale un sacco italian-style.
 
E se quello di Moro fu un assassinio politico come aveva intuito Leonardo Sciascia, il canovaccio dipinto da Grassi, al contrario, tiene i politici sullo sfondo, li accredita quasi di folklore, calcando invece la mano su potenze straniere, i soliti servizi deviati, la P2 (ma anche Moro era massone) e le mafie, che probabilmente sono state esecutrici di volontà politiche maturate all’ombra dei palazzi e dello Stato.
 
Se ci fosse stato un minimo di dibattito, e non un comizio a manetta, alla “così è se vi pare”, avremmo voluto chiedergli se ci sono ancora in vita politici che ebbero un qualche ruolo in una tragedia che ha segnato e condizionato la storia patria e che, all’italiana, offrì snodi farseschi (la seduta spiritica del 3 aprile): politici alla Prodi che chiedono lumi a un piattino (Othelma ancora era un garzoncello) su un tavolino a tre gambe sono buoni per i b-movie di Alvaro Vitali, Renzo Montagnani ed Edwige Fenech alle grandi manovre.
 
In cambio dobbiamo credere, per fede, che le Br di Alberto Franceschini non hanno mai ucciso nessuno: sottinteso, gli assassini sono venuti dopo, con gli infiltrati. Che i governi sinora non hanno mai chiesto al Nicaragua l’estradizione di Alessio Casimirri, cittadino nicaraguense. E che la povera Emanuela Orlandi, sparita a 15 anni, “era incinta, non è stata rapita, e mi fermo qui…”. Qualcuno parlò di pedofilia oltretevere. Il padre, commesso alla Santa Sede, è morto nel 2004 a 74 anni credendo al rapimento, come ci crede ancora il fratello Pietro, ormai 50enne.  
 
Caro Grassi, stia sereno, continui a distribuire “santini” e la ricandidatura arriverà: ormai non è come in prima repubblica, le liste sono zeppe di società civile. Viviamo nella società dello spettacolo, dei talent, che ha leggi ferree, quasi scientifiche, ma non è con lo show che si arriva a una qualche verità sul coacervo di interessi coagenti che portarono all’omicidio di Moro. Ma serve a farsi mettere nel listino in posizione utile.

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