A proposito di dialetto barese

di Vittorio Polito. Carla Marcato, docente di Linguistica Italiana all’Università di Udine ed autrice del volume «Dialetto, dialetti e italiano» (Ed. Il Mulino), sostiene che «L’Italia, dal punto di vista linguistico, è notevolmente differenziata al suo interno: oltre all’italiano, sono presenti – e con diverso grado di vitalità – numerose altre varietà linguistiche per le quali comunemente si adopera il termine dialetto. Ma questa parola, dal significato ambiguo, non sempre è accettata dai parlanti, perché è ritenuta di valore inferiore rispetto a lingua e spesso associata a stereotipi negativi».
Il dialetto va inteso come sistema linguistico autonomo rispetto alla lingua nazionale, quindi un sistema che ha caratteri strutturali ed una storia distinti rispetto a quelli della lingua italiana. La mancanza di grafie dialettali unitarie, finalizzata a rendere la fonetica dei dialetti, sembra dovuta al fatto che i dialetti non sono stati interessati dai processi di normalizzazione grafica, come avvenuto in qualche regione. Nel citato testo, ad esempio, si parla di tanti dialetti e di tante grammatiche ma del dialetto barese, ad eccezione di un brevissimo cenno su quello arcaico, non c’è traccia.
Mettere ordine o fissare regole e regolette e farle condividere è cosa assai difficile. Anche il “Dizionario etimologico dei dialetti italiani” di M. Cortelazzo e C. Marcato” (Utet), fa solo qualche cenno ai dialetti meridionali o pugliesi, ma nulla su quello barese.
Consultando, poi, alcuni calendari pubblicati in dialetto barese, è evidente la gran confusione esistente sul nostro vernacolo. Un esempio: il nome Eligio è stato tradotto in ‘Eligie’ e ‘Alìsce’. Come si può notare, qualcuno lo traduce esattamente con il nome dell’alice o acciuga, per cui se si dovesse dire, ad esempio, Eligio si mangia le alici, si tradurrebbe in dialetto ‘Alìsce se mange l’alìsce’(?). Insomma una gran confusione.
Per quanto riguarda poi il dialetto nelle scuole, il prof. Ugo Vignuzzi, ordinario di Dialettologia all’Università «La Sapienza» di Roma, alla domanda «Lei sarebbe favorevole allo studio del dialetto a scuola?», ha così risposto: «Assolutamente si, se finalizzato a recuperare la memoria storica, i termini e le tradizioni di cui il dialetto è portatore», senza parlare di scrittura, di grammatiche o quant’altro. Pertanto, con tutto il rispetto per il dialetto barese, nostra prima lingua e, ovviamente, per i poeti, gli scrittori, i cultori e gli studiosi, esso si continuerà a scrivere “a modo proprio”, sia pure con qualche riferimento alle grammatiche ed ai dizionari esistenti, ma, soprattutto, senza alcuna imposizione e senza tener conto degli insegnamenti “accademici”.
Mi piace concludere con quanto scrisse Vito Maurogiovanni nella presentazione del “Nuovo dizionario dei baresi” di E. e L. Gentile (Levante Editori):
«Se poi ci sarà chi dirà che la scrittura è questa e non quella o quella e non questa, credo ogni studioso abbia diritto ad utilizzare le proprie interpretazioni. Che, come nel caso di questo vocabolario, non sono né gratuite né tanto meno banali e il discorso sulla esattezza linguistica, se discorso c’è da fare, ha bisogno di studi e riflessioni non di garanti”.